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Otto anni prima

Getto il mozzicone della sigaretta ormai finita fuori dal finestrino. Finiscono sempre troppo presto, la nicotina è diventata una delle mie migliori amiche e l'odore di tabacco mi rilassa.

Se lo sapessero i miei genitori mi farebbero fuori, mia madre si metterebbe a piangere e mio padre mi farebbe la predica su quanto fa male il fumo e come io mi stia rovinando i polmoni, di cui sinceramente non me ne frega un cazzo.

Ma loro non lo sanno e non lo sapranno mai. Sono morti e da quel giorno, da quella fottutissima mattina in cui la signora Chen mi ha informato dell'incidente, non è più stata la stessa cosa.

Era venuta la nonna a prenderci, me e mio fratello Roger, ci aveva abbracciato in lacrime e ci aveva detto che sarebbe andato tutto bene. Me ne ero stato in silenzio per sette giorni, rannicchiato nel mio letto a pensare, non so bene a cosa. A tutto e a niente.

Era come se mi avessero strappato il cuore e preso a calci il mio stomaco, lì dove c'era un nodo che non riuscivo a sciogliere.

Mi sono chiesto tante volte perché, perché proprio a loro, proprio a me. Non ho mai trovato una risposta e se davvero c'è qualcuno o qualcosa là sopra, con me è stato davvero crudele. Non uno, ma due genitori strappati ad un bambino che ancora deve crescere, che ancora non ha imparato a vivere perché ha appena cominciato a farlo.

La nonna ci ha accolti come fossimo dei figli e si impegna davvero per farci diventare grandi come si deve, ma siamo due teste di cazzo e non capiamo niente.

La deludo ogni giorno che passo sulla faccia della terra, ogni volta che non vado a scuola, ogni volta che torno a casa con un occhio nero, ogni volta che la mia rabbia prende il sopravvento e vado a sfogarla dove nessuno può vedermi.

Parcheggio l'auto nel posteggio davanti all'entrata della scuola, all'inizio ero terrorizzato all'idea di mettermi al volante di questo affare, per l'incidente dei miei, ma poi ci ho fatto l'abitudine. I mezzi pubblici mi fanno schifo, questa mi sembrava l'unica valida alternativa.

L'ingresso è affollato, ragazzi e ragazze ridono e chiacchierano amabilmente, mi piacerebbe sapere come cazzo fanno a essere felici di prima mattina. E come ogni giorno le ragazze si girano a guardarmi, bisbigliano e sussurrano cose alle loro amiche vicine.

Non credo sia solo per il mio aspetto. Sì sono un bel ragazzo, ne sono consapevole, ma ci sono tanti bei ragazzi in giro. È per il mio stile, credo, per il mio modo di fare burbero e scontroso.

Il classico ragazzo bello e dannato, che ha quel qualcosa di pericoloso che le stuzzica, che odora di trasgressione e libertà. E per la mia storia, ne sono sicuro. La storia curiosa dell'orfanello che ha perso i genitori da bambino e ha bisogno di affetto. Non è mai esistito niente di più falso.

Passo tra le persone, schivandole: fumo in macchina prima di arrivare a scuola per non dovermi fermare fuori, in mezzo a tutto questo casino.

Quando arrivo in fondo al corridoio, svolto a destra e giungo in una piccola sala dove si trovano i distributori automatici, al momento quasi deserti. Oggi è una bella giornata e la gente preferisce passare il tempo all'aperto a godersi la fresca aria primaverile.

«Ehi» saluto i miei amici, seduti in un angolo della stanza.
«Ciao» mi salutano loro e vedo Stella avvicinarsi e mettersi al mio fianco non prima di avermi schioccato un bacio sulla guancia. Io e lei non siamo insieme, siamo andati a letto un paio di volte, ho chiarito che non voglio niente di serio, ma a lei piace raccontarlo giro.

Anche questo ha i suoi lati positivi, almeno le altre mi lasciano in pace. La campanella, interrompe i miei pensieri e mi avvio verso l'aula di matematica, l'unica materia che riesce veramente a tenere impegnato il mio cervello.

Frequento una scuola privata, mia nonna può permettersela grazie ai soldi che i miei avevano messo da parte per me e Roger. Prima o poi quei soldi finiranno e dovrò trovarmi un lavoro per mantenere me e lei. Non la lascerò mai sola, a lei devo tutta la mia vita.

Quando arrivo in classe mi dirigo all'ultimo banco, sorpassando figli di papà in maglionicino blu e pantaloni cachi e ragazze perfette in gonnellina rosa e camicetta bianca.

Quelle sono le più troie, fingono di essere perfette, con i fiocchetti tra i capelli e il lucidalabbra al gusto fragola e poi sono le stesse che ti si lanciano addosso appena ne hanno l'occasione.

Mi sorridono e io le ignoro. Galline. Tutte che pensano di potermi guarire, crocerossine del cazzo. Sono rotto dentro, incapace di provare affetto per qualsiasi persona, eccetto mia nonna, sono un menefreghista, sono freddo e non riesco a provare pietà.

Vado bene ai miei amici per quello che sono, perché anche loro sono come me; chi per disprezzo della vita che i loro genitori ricchi li costringono a fare, chi ha perso la giusta via e chi come me non l'ha mai imboccata. Siamo lo scarto di questa scuola, questo ci tiene uniti.

L'ora di matematica trascorre un po' meno lentamente di tutte le altre. Ricordo quando, da bambino, la odiavo più di qualsiasi altra materia mentre col passare degli anni ho imparato ad apprezzarla, è così logica, non ammette errori, o è nero o è bianco, come me.

Raccolgo il quaderno e la penna e li butto nello zaino, senza troppi complimenti. Quando esco trovo Stella ad aspettarmi davanti al mio armadietto.

«Vieni a casa mia?» mi chiede in tono lascivo, passandosi la lingua sul labbro superiore.
«No Stella, abbiamo sbagliato le altre volte, sei una brava ragazza, non voglio usarti» le dico, un po' perché magari la smette di starmi intorno e un po' perché lo penso davvero. Forse non sono così stronzo come credo.

«Voglio quello che vuoi tu Gordon, niente di più» mi risponde mettendo il broncio. Io e lei siamo più simili di quanto voglia ammettere: per prima cosa anche lei non ha più i genitori, non so che fine abbiano fatto. Credo viva con gli zii, degli stronzi ricchissimi, o qualcosa del genere e so che ha un fratello ma non l'ho mai visto. E come me, anche lei ama la musica.

«Però non è quello che racconti in giro» le dico chiudendo l'armadietto con fare annoiato. Mi fissa e assottiglia lo sguardo, proprio come fa sempre quando non sa cosa dire.

«Cosa è, il gatto ti ha mangiato la lingua?» dico dandole un leggero buffetto sulla spalla.
«Volevo solo far star zitte quelle troie che in bagno mi prendevano in giro» sputa fuori dopo qualche secondo di silenzio lasciandomi di sasso.

La gente fa veramente schifo. So come ci si sente a essere diverso, a non essere accettato; noi non facciamo parte del mondo di queste persone, siamo qui per caso, per qualche motivo che ci ha trascinato fino a questa scuola. E gli altri lo sanno.

«Non verrò da te e non sono il tuo ragazzo» le sussurro a qualche centimetro dalla faccia e poi la bacio appassionatamente lì, in mezzo al corridoio, dove tutti possono vederci, anche le ragazze che probabilmente l'hanno presa in giro. Mi stacco da lei e la guardo dritta negli occhi passandole il pollice sul labbro inferiore.

«Mi devi un favore» le dico per poi allontanarmi, tra i sussurri e i bisbigli delle ragazze che mi guardano come fossi un dio greco e fissano la ragazza alle mie spalle con invidia.

🦁SPAZIO AUTRICE 🦁

Eccoci giunti alla fine del quarto capitolo di Energy. 
Non dimenticatevi di lasciarmi una o un 💌 il vostro parere è importante per me!
Conosciamo un'altra parte della vita di Gordon. La sua adolescenza dopo la morte dei genitori, non è stata delle più facili, le brutte frequentazioni non hanno fatto altro che gettarlo ancora più nello sconforto.
Come avrà fatto a uscirne?

Non vi resta che scoprire le risposte nei prossimi capitoli! Un bacione!
ArielaNodds 💕

ENERGY 2: Lottare per amoreWhere stories live. Discover now