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Sei anni prima

Lascio che le mie dita accarezzino le corde della chitarra. Sento il suono, ne ascolto l'armonia a cui permetto di calmarmi, come sempre, di scorrermi nelle vene e mischiarsi al mio sangue, come fosse una parte di me. L'unica parte bella di me.

Ieri è stata una giornata di merda. Una lacrima scivola lenta sul mio viso e non mi prendo nemmeno la briga di asciugarla. Qui da solo nella mia camera non ho bisogno di nascondere nulla.

L'ultima volta che ho pianto è stato tantissimi anni fa, per la morte dei miei. Speravo che quel dolore fosse il più grande mai provato, il mio cuore si era frantumato in tantissimi pezzi che, ancora adesso, non sono riuscito a mettere insieme del tutto.

Eppure ora sembra anche peggio, forse perché sono più grande, forse perché lui era l'unica cosa che rimaneva della mia famiglia, che mi ricordava gli occhi del papà e il sorriso della mamma. E ora mi è stato strappato anche lui.

Io e Roger dopo la morte dei miei siamo stati affidati a mia nonna, l'unico parente che ha accettato di crescere due bambini e prendersi cura di noi. Ci siamo trasferiti da lei e abbiamo lasciato la nostra vecchia casa.

Abitavamo in centro a New York e l'affitto era decisamente alto, troppo per le possibilità della nonna. Così siamo venuti qui, in una piccola casetta con giardino nella periferia e devo ammettere che mi piace così.

Posso strimpellare la mia chitarra senza disturbare nessuno, a parte Roger si intende, e la puzza di smog non è così fastidiosa e invadente.

Ora nemmeno lui si lamenterà più. È stata una pugnalata al cuore: non posso fare a meno di sentirmi in colpa e allo stesso tempo sono incazzato con lui perché mi ha lasciato da solo.

Un paio di anni fa Roger è finito in un brutto giro. Ha sempre detto di essere forte, pensava di riuscire a nascondere il suo dolore dietro la facciata da cazzone che si era costruito.

In realtà è fragile, molto più di me e forse io non gli sono stato abbastanza vicino. Non ho capito quanto fosse dipendente da quella roba preso com'ero dalla mia chitarra, dalla musica, dalle ragazze.

E non mi sono accorto di quanto lui avesse bisogno di qualcuno, di una spalla su cui piangere e di una mano a cui aggrapparsi per uscire dal tunnel in cui era caduto.

Non riesco a fare a meno di pensare che sia colpa mia. In parte. L'altro lato di me dice che è lui che ha sbagliato, che con quella roba non si scherza e che ha pagato per le sue azioni e per la testa di cazzo quale è.

Aveva cominciato con qualche semplice spinello, dell'erba, nulla di più. Non che mi facesse piacere, ho sempre avuto una fottuta paura di quella roba, di perdere il controllo, e non è una cosa che posso permettermi di fare. Odio non sapere cosa sto facendo.

Ma lui no, a lui piaceva rischiare, gli piaceva la sensazione di rilassamento che ne conseguiva, gli piaceva evadere dalla realtà,  cosa che io faccio suonando la chitarra.

Ha sempre detto che avrebbe smesso quando voleva e che aveva tutto sotto controllo e io, da stupido, gli ho creduto. Mai fatto un errore più grosso di questo.

Non mi sono accorto di quando è passato dall'erba alla cocaina, sono stato cieco e questo mi sta logorando dentro.

Ieri è stato il giorno in cui se ne è andato. O meglio, quello in cui io l'ho portato via.

Ricordo tutto come fosse un sogno. La settimana scorsa ho trovato una bustina di quella roba mentre sistemavo la stanza. Il mondo mi è caduto addosso e il mio cuore si è fermato per qualche istante.

ENERGY 2: Lottare per amoreOnde histórias criam vida. Descubra agora