15.

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Rimango imbambolato a fissare la stanza vuota, come se quanto appena successo fosse solo l’ennesimo incubo da cui fatico a svegliarmi.

Non riesco a togliermi dalla mente le sue membra tremanti, scosse da violenti spasmi, le sue palpebre chiuse con forza, il suo corpo irrigidito da una fonte esterna.

Piango. Non riesco a fermare le mie lacrime: come si fa a vedere una cosa del genere e poterla solo osservare, senza possibilità di agire, di fare qualcosa. Ho sempre avuto l’istinto di proteggerla, dagli altri, dalla sua famiglia, dai miei amici. Da sé stessa.

Avrei attraversato l’inferno per lei, mi sarei lanciato sotto un treno. E solo Dio sa cosa mi è saltato in mente quando l’ho lasciata. Pensavo sarebbe stata bene, invece siamo stati male entrambi.

Mi ero ripromesso di essere un uomo migliore per lei, di fare qualsiasi cosa in mio potere per tenermela stretta, perché troppe volte ho rischiato di perderla, per poi lasciarla andare definitivamente.

Invece ora, mentre guardo la stanza in cui poco fa c’era anche lei, mi sento come se avessi fallito. Come fidanzato, come uomo, come tutto. Non sono stato in grado di salvarla, non c’ero quando aveva bisogno di me, non ci sono stato quando se n’è andata via di casa, lasciando tutto e ricominciando da capo.

Non ci sono stato quando lottava contro sé stessa, quando ha deciso che il suo corpo cominciava a starle stretto, quando ha cominciato a perdere peso, quando ha mosso i primi passi in una città che le era praticamente sconosciuta, dal momento che ha sempre vissuto negli agi di una villa enorme in periferia.

Sono tornato quando ormai la sua vita aveva preso un’altra piega, quando stava bene senza di me, quando aveva trovato la sua stabilità.

E come un egoista mi sono fatto strada di nuovo nel suo cuore, sapendo che io senza di lei non potevo stare. Ma lei poteva stare senza di me?

Probabilmente sì, perché già lo stava facendo. Ma ho capito che non sarei mai stato in grado di lasciarla andare veramente quando l’ho strappata dalle grinfie di quel ciccione che le stava facendo del male. In quel momento mi sono pentito di essermene andato un anno prima.

Perché chissà quante cose le erano capitate mentre io ero lontano, a letto con altre ragazze. Quante volte aveva dovuto combattere senza che nessuno la proteggesse e la aiutasse.

E lei era diventata forte, molto più forte di quanto immaginassi. E io che cercavo di tornare con la coda tra le gambe, che cercavo di farmi perdonare, che cercavo di essere una persona migliore per lei, ero io quello debole.

Quello che aveva dovuto cercare consolazione in altre persone, perché non ero in grado di trovarla dentro di me, quello che aveva cercato di dimenticarla piuttosto che imparare a convivere con i bei ricordi.

E ora, qui in mezzo, mi sento inutile, mi sento debole. E ammetterlo fa male, è difficile. Forse dovresti andartene quando si risveglierà, non sei stato in grado di proteggerla e lei merita qualcuno di migliore, mi ripete una voce dentro di me.

«Sono venuto a informarla delle condizioni della sua ragazza» mi dice uno dei medici che sono arrivati a soccorrere Hanna poco fa, risvegliandomi dai miei pensieri.

Mi volto di scatto, gli occhi ancora pieni di lacrime e il labbro inferiore che trema. Non riesco a riprendere il controllo di me, tutte le emozioni represse mi hanno investito, la consapevolezza ha cominciato a farsi strada dentro di me.

ENERGY 2: Lottare per amoreWhere stories live. Discover now