5. TAYLOR

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La campanella suona all'improvviso, facendomi sussultare.

Mi affretto a concludere una frase sul blocco per gli appunti di storia, prima di sistemare tutto nello zaino e dirigermi verso l'uscita. Come al solito, al cambio dell'ora c'è il caos più totale nei corridoi, e mi accorgo solo all'ultimo della figura alta e bionda che mi si para davanti all'improvviso.

«Ciao bellezza» una ciocca dei capelli dorati di Sarah mi solletica la faccia quando mi avvolge le braccia attorno al collo «Come sta il mio ragazzo preferito?»

Sorridendo, le appoggio una mano sul fianco «Alla grande»

La bionda non mi lascia il tempo di chiederle altrettanto che riprende subito a parlare, giocando con il colletto della mia maglia «Ci vieni alla festa di Reed questo venerdì?»

«Certo» mi stringo nelle spalle, lasciando che mi massaggi le spalle con le dita «Perché?»

«Così» afferma semplicemente, sfoderando un sorriso malizioso «Volevo solo accertarmi che la serata fosse perfetta» mi informa, abbassando lo sguardo sulla mia bocca «Se verrai, lo sarà di sicuro»

Il modo in cui mi guarda lascia intendere perfettamente le sue intenzioni, e io ne sono più che felice. Non è la prima volta che io e Sarah andiamo a letto insieme. Ora che ci penso, ogni volta che Reed da una festa (il che succede molto spesso), finiamo sempre per concludere la serata col botto. A lei non interessa una cosa esclusiva, così come non interessa a me.

Per questo andiamo così d'accordo. Abbiamo gli stessi obbiettivi e non c'è rischio di fraintendimenti.

Se c'è una cosa che ho sempre cercato di insegnare anche ai ragazzi è proprio questa. Mettere le cose in chiaro fin da subito.

«Ovvio che verrò» le assicuro avvicinandomi al suo orecchio, in modo che solo lei possa sentirmi «E anche tu lo farai, puoi credermi»

Quando torno a guardarla, la sua espressione la dice lunga su cosa stia pensando adesso. Che poi è lo stessa a cui sto pensando io.

«Per questo ti adoro» afferma con un ghigno, stampandomi un sonoro bacio all'angolo della bocca prima di allontanarsi nel corridoio a passo svelto.
Per quando i tacchi possano permetterglielo.




Quando torno a casa, la prima cosa di cui mi accorgo è il pavimento bagnato. Mi chiederei cosa stia succedendo se non fosse per il profumo di candeggina e il moccio rosso appoggiato alla parete, che costituiscono due indizi fondamentali.
Faccio due più due e allungo il collo dentro la stanza.

«Jace!» alzo la voce per farmi sentire dal mio amico, stando attento a restare sull'uscio «Dove diavolo sei?»

Nel giro di un paio di secondi una testa di capelli biondissimi compare sulla porta della cucina, rivelando il responsabile di tutto ciò.

Jace porta un paio di jeans sbiaditi, arrotolati all'altezza del polpaccio, e degli assurdi guanti lunghi fino al gomito «Non serve urlare, sono qui» commenta infastidito.

Mi soffermo a guardarlo meglio, e mi sfugge una risata.

Per quanto sia abituato a questa sua assurda ossessione per la pulizia e l'ordine, ogni volta che lo vedo conciato in questo modo non posso fare a meno di piegarmi in due dalle risate. È davvero ridicolo.
Ma in fondo tutti noi gliene siamo grati. Senza di lui vivremmo sicuramente in un porcile.

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