34. HAILEY

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Un profumo delizioso di uova e pancetta si insinua nelle mie narici, e il mio stomaco emette un brontolio di piacere, svegliandomi dolcemente.

Apro gli occhi e rotolo sul materasso, spostandomi verso sinistra e osservando il mio poster di Sidney Crosby con lo sguardo ancora appannato.

Ma aspetta un secondo.
Io non ho un poster di Sidney Crosby.

Mi metto subito a sedere e mi guardo attorno.
Nessuna Lexie in ritardo che litiga con la piastra, nessuna sveglia rotta che non smette di suonare e nessuna sedia piena di abiti stropicciati che stanno per franare sul pavimento.

O meglio, una sedia c'è. Ma le maglie e i pantaloni accasciati al di sopra non sono decisamente della mia taglia.

Ergo, questa non è la mia camera.

Mi stropiccio gli occhi per mettere a fuoco la stanza, mentre ogni dettaglio su cui si posa il mio sguardo risveglia i ricordi della serata precedente.

Dopo aver chiamato Taylor, e non avendo ricevuto alcuna risposta, ho dato per scontato che non sarebbe mai venuto.

Dio, mi sono sentita così stupida di averci anche solo provato, di averci sperato, che non ho potuto evitare di cadere a pezzi.

Ho pianto per quello che la vicinanza di Scott aveva risvegliato. Ho pianto per mia madre. Per il modo in cui non sembra importarle di nulla a parte sé stessa. Ho pianto per me. Per il futuro che credevo di essermi costruita e per aver visto quello stesso futuro sgretolarsi tra le mie mani, divorato dal passato.

E poi è arrivato lui.
L'ho spinto via, ma non se n'è andato.
E allora ho pianto anche per quello.

Per la speranza con cui ha riempito il mio cuore, nonostante fosse rotto e facesse acqua da tutte le parti.

Mi è stato accanto senza dire nulla, rispettando il silenzio di cui avevo bisogno e infondendomi la forza necessaria per decidere di regalargli un pezzo di me. Un tassello del puzzle complicato che mi rappresenta.

Per quanto io non sopporti l'idea di mostrarmi fragile davanti a qualcuno, credo che aprirmi con lui sia stata la cosa giusta. E quando anche lui ha deciso di fare lo stesso con me, raccontandomi di suo padre, ne ho avuto la conferma.

Il dolore che ho visto nei suoi occhi, mentre si perdeva nei ricordi, era lo specchio del mio.
Due ombre diverse, ma altrettanto scure. E in quel momento, ho capito che forse non siamo poi così diversi come credevo.

Non so spiegare come o perché, ma sento che dopo ieri sera qualcosa è cambiato tra di noi. Come se avessimo superato una linea invisibile di non ritorno.
E ora, non ho idea di cosa succederà.

Scosto le coperte e mi accorgo di essere ancora vestita dalla testa ai piedi, ad accezione delle scarpe, che individuo poco lontano da me, accanto alla porta. Non ricordo di essermele tolte, quindi immagino sia stato Taylor a farlo per me.

Al pensiero sento gli angoli della bocca sollevarsi verso l'alto, mentre le afferro ed esco in punta di piedi dalla stanza.

Il salotto sembra vuoto, il che mi fa tirare un sospiro di sollievo. Non avrei sopportato di fare la camminata della vergogna davanti ai ragazzi.

Facendo attenzione a non fare rumore procedo verso l'uscita, ma proprio mentre sto oltrepassando la zona cucina, un'asse di legno scricchiola sotto i miei piedi, facendomi immobilizzare di colpo.

«Buongiorno» una voce calda e ormai familiare attira il mio sguardo verso la penisola della cucina, dove Taylor sembra intento a girare delle uova nella padella davanti a sé. I suoi occhi scuri si posano su di me, mentre un sorrisetto divertito si fa strada sul suo volto «Posso almeno offrirti la colazione prima di lasciarti scappare?»

PROVA A RESISTERMIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora