31. TAYLOR

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Ho appena il tempo di uscire dalla doccia e afferrare un asciugamano, prima di rispondere al telefono.
Il mio cuore va subito su di giri nel leggere il mittente, e non posso fare a meno di sorridere.

«Principessa» esordisco, immaginandomi la sua espressione ogni volta che la chiamo così «È passato solo un giorno, non dirmi che senti già la mia mancanza»

Normalmente non esiterebbe neanche un secondo per rimbeccarmi con una delle sue battutine, quindi sono piuttosto sorpreso quando dall'altro capo della linea, mi accoglie il più assoluto silenzio.

Non so ancora molte cose di lei, come ho potuto constatare appena qualche sera fa, ma una cosa è certa. So a sufficienza per capire quando c'è qualcosa che non va.

«Hailey?» La chiamo per nome, sperando di indurla a parlare «Tutto bene?»

Un sospiro.

«Sì..sì» la sua voce sembra instabile, e la cosa mi mette subito in allerta.

Cammino fino al centro della stanza e mi fermo «Come mai hai chiamato?»

Ancora silenzio.
Poi, un singhiozzo sommesso.

Il suo respiro è palesemente accelerato, e nonostante ci provi, fatica a far uscire le parole.

Non so cosa sia successo, ma non è importante. Mi si spezza il cuore a sentirla così, e l'istinto di fare qualunque cosa in mio potere per cambiare la situazione è più forte che mai.

«Dove sei adesso?» le chiedo lentamente, sperando che non riattacchi all'improvviso.

Non avrei diritto di offendermi in tal caso. Ognuno gestisce il dolore a modo suo.

Ma se fra tutte le persone al mondo ha sentito il bisogno di chiamare proprio me... dovrà pur significare qualcosa.

«Al campus» il suo tono è talmente basso e tremolante che capisco appena quello che dice «La panchina... Io... Quella sotto al salice»

Non le ho chiesto io i dettagli, e il fatto che me li abbia dati di sua spontanea volontà non fa altro che rispondere alle mie domande.
Vuole che io la trovi. Che vada da lei.

Ed è esattamente quello che farò.

«Non muoverti» mi sto già infilando i primi vestiti che trovo mentre parlo «Sto arrivando»




C'è solo una panchina sotto al salice piangente, situato nell'aera verde del campus, e in pochi passi veloci la raggiungo.

I capelli ramati che svolazzano oltre il bordo di ferro e gli anfibi che vedo spuntare appena al di sotto, possono appartenere ad una sola persona.

Mi siedo accanto a lei senza dire niente, sussultando quando il mio corpo entra in contatto con la panchina gelata.

Hailey guarda davanti a se, verso un punto non precisato dell'orizzonte, la bocca tesa in una linea stretta.

Passano diversi minuti prima che io riesca a farmi forza.

«Allora» mi schiarisco la voce, frizionando le mani nelle tasche per cercare di scaldarle «Ti va di dirmi che succede?»

Non mi aspetto che risponda.
A questo punto mi accontenterai di stare qui seduto, vicino a lei, se è quello di cui ha bisogno.

«Mia madre viene in città» mormora all'improvviso, senza voltarsi. Il suo sguardo è perso nel vuoto, e ho l'impressione che non stia semplicemente contemplando il paesaggio.

Mi agito sulla panchina, fremendo dalla voglia di guardarla negli occhi. Per qualche ragione, una parte di me è certa che se solo potessi tuffarmi in quel verde intenso e selvaggio, potrei leggere molto più di quello che mi rileverebbero le sue parole.

PROVA A RESISTERMIWhere stories live. Discover now