Come le Maschere di Pirandello.

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«Hai fame?»

Interruppe quella conversazione che stavano portando avanti: alla fine erano riusciti -fra vari ostacoli quali baci e spinte di uno all'altro perché erano due stupidi- a spostarsi sopra il telo bianco che Mattia aveva steso poco prima.

Stavano chiacchierando del più e del meno, senza focalizzarsi su un argomento preciso, ed era piacevole.

Il moro lo guardò, corrugando appena la fronte.
«Hai portato pure da mangiare?»

Il biondo alzò un sopracciglio, divertito.
«Le cose, se si devono fare, devono essere fatte bene!»
Gli fece la morale, alzando appena la voce con un tono di rimprovero, prima di ridacchiare ed allungarsi verso la cartella che aveva lasciato poco lontano. La afferrò e se la portò sulle gambe.
«Non sapevo se ti piacesse di più il dolce o il salato, perciò ho portato...»

E mentre quello parlava, Christian non riusciva a fare altro che guardare la sua bellezza.

Le ciglia abbassate, le mani che frugavano all'interno dello zaino e l'espressione concentrata, e il diciannovenne sentì il cuore battere a mille mentre pensava alla premura dell'altro mentre, qualche ora prima, a casa sua, si preoccupava di cosa potesse piacere o meno a Stefanelli.

Chissá cosa aveva pensato mentre metteva la roba in quello zaino per la scuola, e chissà se si era svegliato prima per fare tutto di nascosto ai genitori o se invece li avesse fatti aspettare in macchina mentre lui preparava la cartella.

Christian non era un tipo romantico, né uno che tende a vedere il dolce in ogni cosa ma cavolo, non riusciva a vedere altro che fiorellini rosa e arcobaleni appena aveva sentito che quello aveva organizzato tutta la loro mattinata.

«Allora?»

Interruppe i suoi pensieri il diretto interessato, e Christian sbattè qualche volta le palpebre, tornando nel mondo reale.

Non aveva sentito nulla.

Sbattè un paio di volte le palpebre.
«Come?»

«Ma mi spieghi a cosa pensi ogni volta? Sei sempre con la testa fra le nuvole.»
Lo rimproverò, senza nemmeno immaginare che il motivo di così tanta distrazione fosse proprio lui.

Il moro abbassò lo sguardo, accennando un sorriso.

Chissà se gliel'avesse detto, come avrebbe reagito.

Scosse la testa, tornando a guardarlo.

«Mi sono solo perso un attimo.»
Si giustificò, prima di allungarsi per guardare nella tasca dello zaino. «Fammi vedere un po' cosa c'é...»
Mormorò curioso, iniziando a frugare nella cartella posta sopra le cosce del più basso.

Mattia alzò un sopracciglio.
«Ma chi ti ha detto che puoi mettere le mani nel mio zaino?»

«Ah, non posso?»
Domandò ironico l'altro. Alzò la testa e si ritrovarono di nuovo a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altro.

Christian sentì la concentrazione venire meno dalla voglia di chiudere gli occhi e poggiare le labbra sulle sue.

«No che non puoi, ti ho già elencato le cose che ho portato, se volevi saperle avresti dovuto stare più attento.»

L'altro sorrise ancora di più: era così impertinente.
«E se ti dicessi a cosa stavo pensando?»

«Se é un motivo valido, ti perdonerò, ma se riguarda ancora il parcheggio della macchina ti lascerò digiunare.»
Lo avvertì serio.

Il moro ridacchiò di nuovo, e sentì forte e chiaro l'impulso che aveva il suo corpo ogni qualvolta fosse troppo vicino a Mattia: la voglia immensa di toccarlo, di sentirlo vicino, di ricercare contatto fisico. E cercando di sembrare naturale, quasi come se di quella vicinanza non ne avesse bisogno, poggió una mano sulla gamba dell'altro, quella più vicina a lui.
«Pensavo che sei stato proprio carino ad organizzare tutto questo.»
Sussurrò, diminuendo le distanze. «Vuol dire che ci hai speso del tempo, é una cosa dolce.»

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