Complici.

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Un mese dopo.

Un mese.

Era passato un mese dall'ultima volta in cui Christian aveva visto la sua famiglia.

Un mese da quella domenica, da quel turbine di emozioni, da quel caos, da quella rabbia.

Un mese da quel sabato, da quel coming out orribile, da quell'ansia, da quei sensi di colpa.

Christian ormai quelle emozioni non le sentiva più.

Aspirò dal filtro arancione della sigaretta, poggiato con i gomiti alla ringhiera del balcone.

Quel giorno faceva più caldo rispetto agli altri giorni.

Il freddo era scemato, ci si trovava in piena primavera, e anche se Christian era stato sempre più tipo da inverno o estate che da mezze-stagioni, quell'anno, quel periodo, sembrava inaspettatamente bello.

Era passato ormai un mese da quei giorni.

Il tempo sana le cicatrici, mette le emozioni sottovuoto.

Da quel giorno Christian aveva preso tante decisioni.

La prima fra tutte sicuramente era stata quella di non giustificare le proprie azioni con nessuno della sua famiglia, a meno che questi ultimi non l'avessero richiesto: credeva, infatti, che poiché era lui il buono della situazione, non avrebbe di certo dovuto andar ad elemosinare un inutile "perdono" ai suoi familiari.

Chi voleva ascoltarlo avrebbe dovuto contattarlo di sua spontanea volontà.

Inutile dire che da quel giorno, Stefanelli non sentì più i suoi genitori.

Niente, né una chiamata, né un messaggio, né niente.

Come se non fosse successo nulla.

Il suo tentativo di spiegarsi?
Andato in fumo, completamente.

Sua madre quel giorno aveva solo urlato, aveva pianto, aveva preferito sè stessa e le sue regole malate a suo figlio.

In un certo senso, anche lei aveva fatto la sua scelta.

E Christian l'aveva accettata.

E da allora non si sentivano più.

Mattia?

Beh, Mattia... Mattia era cresciuto, anche.

Era diventato, se possibile, ancor più bello.

Non che avesse cambiato pettinatura o stile di vestiario o qualunque altra cosa del genere, no.

Era diventato solo più bello.

Certo, sarebbe stato più bello se fosse stato sempre accondiscendente e non puntualmente così ribelle, ma andava bene così.

In quel secondo mese di relazione, erano cambiati tanto.

Quella complicità nelle battute si era estesta nella loro vita quotidiana.

Sapevano essere complici per difendersi, per proteggersi, per supportarsi e per parlare quando l'altro non riusciva.

Vero anche che però, insieme a tutta quella unione, anche la permalosità era aumentata.

Poiché entrambi caratteri forti, non erano mai stati capaci di imparare a cedere senza lottare.

Per questo qualunque cosa era una scusa sufficiente per una discussione in cui entrambi urlavano e poi, tempo dieci minuti, tornavano uno fra le braccia dell'altro.

Il Christian del primo mese credeva di saper riuscire a gestire più che bene l'aspetto ribelle dell'altro, il Christian del secondo, invece, voleva talvolta solo prenderlo di peso, metterlo in una stanza, chiuderla e gettare via le chiavi.

Come le Maschere di Pirandello. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora