Il bello dell'amico.

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Christian strinse forte i pugni, guardando verso il basso.

Sbagliare un rigore alla fine non era poi così tanto la fine del mondo; il fatto di aver appena appeso il pallone sopra ad un albero, pure.

Quel giorno erano rimasti soli lui e Luigi a giocare su quel campo, eppure fin dal primo tiro in porta il più grande aveva capito che qualcosa non andava in Christian.

A quel tempo leggere le espressioni sul volto di Christian non era mai stato più facile; le piccole rughette di espressione che si formavano sul suo viso dai tratti ancora delicati lo tradivano in ogni occasione.

Ma Luigi aveva deciso di stare in silenzio, perché di altri mezzi per aiutarlo non ne aveva.

Così avevano proceduto con palleggi e passaggi in religioso silenzio, fin quando, con l'idea di segnare in porta, Christian non aveva tirato in una traiettoria completamente diversa.

Luigi aveva sbuffato, dicendogli che ora si sarebbe arrampicato lui sull'albero perchè era sua la colpa, ma Christian non aveva risposto.

Era rimasto lì, fermo dove aveva calciato, a guardare in basso.

«Fra', tutto apposto?»

Gli aveva domandato, calando il tono di voce, e si avvicinò al quindicenne.

Ma niente, Stefanelli non rispondeva.

Con la mano sporca di terra, Luigi diede qualche pacca al suo braccio.

«Oh, Chri?»

Niente.

Si chinò appena, cercando di guardare negli occhi il moro, ma finì per sgranare i suoi.

Christian stava piangendo.

A denti stretti, con i palmi martoriati dalle unghie conficcate al loro interno, con il volto sudato e arrabbiato.

«Christian, ohi, ma che succede? Che ti prende?»

Chiese ancora, finendo per controllare sulle sue braccia, sulle sue gambe se si fosse ferito, se si fosse fatto male, se avesse preso una botta di cui lui non se n'era accorto.

«Vuoi che ti riporto a casa? Ti riaccompagno, andiamo, dai.»

Provò a dire, affrettandosi nel prendergli il polso per ripotarlo velocemente a casa sua, ma Christian imputò i piedi sul pavimento.

«Non ci voglio anda' a casa.»

Disse, mentre le lacrime continuavano a scendergli veloci.

«E allora che vuoi fare?»

Ma quello scosse la testa, come niente fosse.

Prese un grosso respiro, tirò su con il naso, si strofinò il braccio sugli occhi e si diresse verso un albero, quello dove avevano appeso il pallone.

"Stupido e testardo."

Era questo quello che pensò l'allora diciassettenne Luigi, mentre capiva che cacciar fuori qualcosa dalla bocca di Christian sarebbe stato molto più complicato di quanto avrebbe mai creduto.

L'unica cosa che riusciva a rincuorarlo, almeno, era il fatto che nel corso del tempo quella muraglia che Stefanelli avesse costruito attorno a sè, fosse stata pian piano abbattuta.

Con gli anni era diventato più semplice parlare con l'amico.

Certo, il carattere è carattere e la testardaggine gli era rimasta: solo, che ora invece di sette camicie se ne sudavano due, o tre.

Come le Maschere di Pirandello. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora