44 - Come un claustrofobico in una bara

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Il pomeriggio successivo ero seduto accanto ad Hua Cheng sulle scomode sedie d'attesa di una clinica che puzzava un po' troppo di disinfettante. Ogni tanto qualche infermiera vestita di bianco attraversava il corridoio indirizzandoci un'occhiata curiosa.

Non stavo bene, il mio stomaco si stava contorcendo per l'ansia e il disgusto per essere obbligato a fare qualcosa del genere. Hua Cheng mi aveva detto di disdire l'appuntamento, ma non volevo deludere mia madre. La porta si aprì e ne uscì una donna sulla cinquantina, una paziente come me, poco dopo sentii un allegra voce maschile provenire dall'interno.

- Xie Lian?

- Arrivo.

Mi alzai, mi sentivo come un condannato a morte e se da una parte cercavo di convincermi che non stavo andando a fare nulla di che, dall'altra la mia agofobia mi gridava di scappare il più possibile lontano da lì.

- Vengo con te?
Domandò piano Hua Cheng. Scossi la testa.

- Per favore... San Lang, aspetta qui. Ce la faccio.

Non so come mai ma l'idea di farmi accompagnare da Hua Cheng mi faceva annaspare nell'angoscia; presi coraggio ed entrai nello studio del dottore. Era una piccola stanza quasi tutta bianca, il pavimento era di marmo e il soffitto di pannelli di materiale isolante.

- Buongiorno.
Mormorai.

- 'Giorno. Si accomodi pure.

Rispose il dottore sorseggiando una tazza di caffè. Era un uomo sulla quarantina, aveva i capelli appena brizzolati sulle tempie e dei grossi occhiali marroni in bilico sul naso. Mi sedetti di fronte a lui stringendo convulsamente la mia cartellina clinica tra le mani.

- Sua madre mi ha già accennato qualcosa della sua particolare situazione, mi spieghi meglio per cortesia.

Aprii la cartellina e cominciai la solita tiritera. Parlai di come mi ero ammalato, dei miei sintomi, della mia fatica a mangiare, del mio dimagrimento, di come il corpo si stava consumando lentamente, della cura che stavo facendo e degli scarsi benefici che stava avendo.

- Dove le fa male di solito?

- I dolori più forti sono alle ginocchia.

- Capisco. Si tolga i vestiti e si sdrai sul lettino.

Obbedii con il cuore e le braccia pesanti. Il dottore si alzò e mi si avvicinò, mi tastò le ginocchia e il collo.
- Hm... Mi dica se le fa troppo male. Se le fa impressione non guardi.

Prima che potessi dire o fare qualsiasi cosa, sentii un ago penetrarmi attraverso la pelle, mi sfuggì un gemito di dolore prima che potessi ingoiarlo.

- Fa male?

Ho appena urlato di dolore, veda un po' lei. Pensai seccato poi annuii. Tolse l'ago, trattenni il fiato per non gemere di nuovo.

- Si calmi e respiri, Santo Cielo.

- Mi scusi.
Riportai alla mente le lezioni di meditazione che mi aveva fatto Sun Yang per insegnarmi a gestire l'ansia da prestazione, mi concentrai sul mi respiro, su come il mio diaframma si alzava e si abbassava e non mi lamentai più, non ne avevo il coraggio dopo quel rimprovero. Sentii gli aghi premermi sulle mani, sulle gambe, sulle caviglie, uno sulla pancia, quando me ne mise uno sulla fronte feci fatica a mantenere il respiro regolare, ma non dissi nulla.

- Tra mezz'ora glieli tolgo, cerchi di rilassarsi nel frattempo.

Il dottore si allontanò dal lettino sul quale ero coricato e si sedette di nuovo alla scrivania. Rimasi immobile a fissare il soffitto. Contai dieci volte quanti pannelli c'erano sopra di me: erano quarantotto, sei sul lato corto e otto sul lato lungo. Contavo e respiravo, tutte le volte che l'immagine di una farfalla appuntata in una teca faceva capolino nella mia testa la reprimevo a forza e mi dicevo che ero patetico. Quante storie per mezz'ora di agopuntura.

Più o meno era come rinchiudere un claustrofobico in una bara per mezz'ora, nulla di traumatico dunque.

Mi concentrai sul ricordo della voce di Sun Yang che mi diceva di respirare: "Ispira per sette secondi, trattieni il respiro per sette secondi, espira per sette secondi e trattieni ancora contando fino a sette, poi di nuovo inspira..."
E non so come il tempo passò, lentissimo, ma passò. Il dottore finalmente si alzò e si avvicinò al lettino. Mi tolse un ago alla volta strappandomi una smorfia per ognuno.

- Ora si alzi con calma, poi si rivesta pure con calma. Prenda appuntamento con la mia segretaria per la prossima seduta.

- Va bene.

Mi alzai piano, più dolorante che mai, mi rivestii alla velocità della luce e uscii da lì il prima possibile, Hua Cheng mi aspettava fuori dalla porta, stava sfogliando una rivista di moda con aria annoiata.

- Eccoti qui, Gege. Com'è andata?

- Andiamo via. Non lo farò mai più.

Sbottai e senza aspettarlo mi incamminai verso l'uscita della clinica. Non mi ero mai sentito così vulnerabile prima, nemmeno quando ero caduto la prima volta su un palcoscenico, nemmeno quando a dieci anni mi venivo preso in giro perché "ballare era da femmine".

- Gege?
San Lang mi corse dietro, non mi fermai finché non raggiungemmo l'auto. Hua Cheng mi appoggiò una mano sulla spalla e io istintivamente mi scansai, quando vidi il suo sguardo ferito mi resi conto del mio gesto.

- Scusa...
Balbettai.
- Non lo farò mai più.
Ripetei.

- Va bene, gege.
Completamente perso mi lasciai abbracciare, crollai tra le braccia di Hua Cheng.

- Scusami, non ne sono in grado.

- Va tutto bene, gege. Non devi più farlo.

Mi scappò un singhiozzo. Da quando ero diventato così debole?

Penso che tutti nella vita prima o poi si trovano davanti un ostacolo più grande di loro, un ostacolo che non sono in grado di affrontare. Credo che a tutti nella vita capita di spegnersi e di smettere di vivere per un po'. Si muore innumerevoli volte prima di morire davvero. I giorni precedenti mi avevano lentamente soffocato, avevo lentamente perso coscienza di me e del mondo. Quel giorno, stretto tra le braccia di Hua Cheng nel parcheggio mezzo vuoto di una clinica mi sentivo morto. Il mio cuore era silenzioso al tocco di Hua Cheng, il cielo era grigio, i miei occhi non erano più in grado di vedere come prima e la mia mente era solo un miscuglio di sensazioni mute e indefinibili.
Ero già morto diverse volte nel corso della mia vita, ma ero sempre morto solo. Per la prima volta nella mia vita non ero morto da solo.

A. A.
È PASSATO UN SACCO DI TEMPO SCUSATEMI. Ho scritto questo capitolo ancora mesi fa, ma per diversi motivi non sono riuscita a postarlo prima. So che è un po' pesante e non carino e divertente, ma spero che voi abbiate apprezzato lo stesso.
See you

Memorie d'autunno || HualianWhere stories live. Discover now