CAPITOLO DODICESIMO - parte 1

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Non appena Jeff si rese conto di essere legato, iniziò ad agitarsi; faceva forza sulle braccia tentando in tutti i modi di sollevarle, ma le manette di cuoio che le imprigionavano erano molto resistenti, e così strette che a malapena il sangue riusciva ad affluire sulle dita.
Emettendo un rantolo di dolore il ragazzo provò nuovamente ad alzarsi con un forte strattone, ma non impiegò molto a realizzare che nessuno di quei tentativi sarebbe stato utile.
I suoi occhi si persero nel bianco del soffitto sopra di sé, e per un attimo un pensiero balenò nella sua mente: "E se avessi immaginato tutto? Se fossi finito in coma o roba del genere, e fossi rimasto tutto il tempo qui?".
-Quella è una brutta ferita-.
Una voce echeggiò improvvisamente nella stanza, proveniente da un punto imprecisato in quanto l'eco che si creava ne confondeva la direzione. Fu un suono in qualche modo piacevole da udire: una voce soave e profonda alla stesso tempo, una voce gentile.
Il killer sollevò la testa dal cuscino e si guardò intorno con aria nervosa, facendo scorrere lo sguardo sulle pareti bianche della stanza fino a raggiungere una figura che se ne stava in piedi sul lato opposto, accanto alla porta.
Era un giovane uomo. Capelli neri, un accenno di barba, occhi scuri ed una corporatura esile; indossava un lungo camice bianco, di quelli che vengono comunemente usati dai medici. La persona che aveva davanti a sé pareva, infatti, un medico a tutti gli effetti; solo un dettaglio rovinava in modo evidente la sua immagine: uno schizzo di sangue rosso sulla manica destra, che era stata arrotolata nel goffo tentativo di coprire la macchia.
Jeff si soffermò ad osservare proprio quel dettaglio, che gli diede conferma del fatto che, nonostante l'apparenza, qualcosa non andava.
Il dottore se ne accorse, e sorrise caldamente. -Ero impegnato con... Un'altro paziente- disse, arrotolando ancora un po' la manica -Ma adesso posso finalmente occuparmi di te-. Iniziò ad avvicinarsi a passo lento, sistemando con entrambe le mani il colletto del suo camice bianco.
Jeff riprese ad agitarsi, strattonando le manette con tutte le forze che aveva in corpo; al momento era completamente inerme di fronte a quell'individuo, e ciò non andava per niente bene. -Stai lontano!- gridò.
Il dottore ridacchiò. -È normale che tu ti senta un pò... Come dire.... Confuso ...- esclamò fermandosi proprio accanto al letto -Ma io sono quì per aiutarti, è questo il mio lavoro-. Indicò con la mano la gamba ferita del killer, e scosse il capo: -Quel taglio è molto profondo, sai? Se non mi lasci intervenire probabilmente morirai dissanguato entro mezz'ora-.
Jeff lasciò cadere la testa sul letto respirando affannosamente.
-Non intendo fare nulla di strano- continuò ancora il dottore, che adesso aveva ripreso a sorridere -Voglio solo somministrarti degli antidolorifici, disinfettare con cura la ferita, e metterti qualche punto... Mi pare che tu stia soffrendo molto-.
Il killer strinse i denti. -Chi sei tu?!- gridò -Piantala con queste stronzate!-. Il suo ennesimo tentativo di sollevare la schiena finì con una ridicola caduta sul letto, dovuta al fatto che i muscoli delle sue braccia erano ormai doloranti e stanchi.
Il dottore scoppiò in una fragorosa risata, ed aprendo il camice prelevò una siringa che probabilmente conservava nel taschino interno. La sollevò velocemente al cielo, e con un gesto rapido la conficcò nella spalla sinistra del ragazzo.
-Io sono dottor Smiley- annunciò, orgoglioso.
La stanza iniziò a girare vertiginosamente, o forse era soltanto la sua testa che girava? Jeff afferrò le coperte con entrambe le mani e riuscì a scorgere ancora una volta il bianco candido dei muri tutt'intorno, prima di cadere in un sonno improvviso e pesante. Fu come cadere in un baratro profondo, come una lampadina che all'improvviso si brucia e ti lascia al buio nella tua stanza.

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