CAPITOLO SEDICESIMO - parte 1

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Dina si gettò sul corpo ormai privo di vita di Eren, sbattendo le ginocchia contro al pavimento. Lo afferrò per le braccia e posò la testa sul suo petto.
-Perché è dovuta andare così... Perché?!-.
Jeff la osservò dall'alto, senza dire una parola. Vederla soffrire in quel modo gli dispiacque, ma non riuscì a capire del tutto il motivo per cui si stava comportando così. Quell'individuo aveva cercato di ammazzare entrambi, quale pietà doveva avere per lui? Si chiese se avrebbe dovuto sentirsi in colpa per averlo ucciso; ma subito si rispose che sarebbe stato stupido. Dopotutto le aveva appena salvato la vita, tra l'altro riuscendoci per un pelo. Non aveva nulla da rimproverarsi.
Il killer pulì la lama del coltello sopra ai suoi jeans, e lo ripose nella tasca. Si avvicinò poi a Dina, e si chinò a terra accanto a lei posandole una mano sulla spalla.
-Hei...- farfugliò.
La ragazza si voltò verso di lui, asciugandosi gli occhi con una mano tremante. -Scusa... Mi comporto da stupida- farfugliò.
Il ragazzo la strinse istintivamente a sé, senza dire nulla. In effetti non sapeva neanche che cosa avrebbe dovuto dire, in quel momento.
Restarono così, abbracciato l'un l'altra accanto al cadavere, finché improvvisamente tutto intorno iniziò a dissolversi. Era giunto il momento ancora una volta; Slenderman lo stava trascinando via da quello spazio, per gettarli chissà dove.
I due si strinsero più forte, mentre tutto attorno si fece nero. Il suono disturbante generato dal mostro si s'insinuò nelle loro orecchie, e si amplificò lentamente fino a cessare di colpo.
Jeff sentì il suo corpo, ancora stretto su quello di Dina, adagiarsi a terra.
-Stai bene?- chiese subito, scuotendo la ragazza che ancora si premeva le tempie con i palmi delle mani. Lei annuì con un cenno del capo, ed entrambi iniziarono a guardarsi intorno con aria preoccupata.
A prima vista, l'ambiente piuttosto cupo che li circondava pareva essere una specie di sgabuzzino; soltanto con una più attenta ispezione fu chiaro che si trattava, invece, di un vecchio negozio di giocattoli. Jeff si voltò rapidamente in tutte le direzioni; la stanza in cui si trovavano era piuttosto piccola, ed i vecchi muri scrostati erano colmi di mensole di legno appese, a loro volta cariche di... Marionette?
Il killer si alzò in piedi e scrollò via la polvere dal pantaloni, porgendo poi la mano a Dina. L'ambiente era silenzioso, ed aveva un'aria molto nostalgica. Sembrava che nessuno fosse più entrato in quel vecchio negozio da molto molto tempo, a giudicare anche dalle condizioni pessime in cui si trovava; muffa sui muri, mattonelle rotte al pavimento, ed abbondante polvere che si ammassavano un po' dappertutto.
Osservando gli oggetti attorno a sé con maggiore attenzione, Jeff poté notare che ogni singolo giocattolo era una marionetta. Bambole, animali di legno, peluche dalle forme più insolite; ognuno di essi, era legato da qualche filo che consentiva di muoverli se sospesi in aria.
-Non mi piace questo posto- farfugliò il ragazzo, voltandosi in direzione di Dina. Per qualche motivo lei non sembrava altrettanto preoccupata; era intenta ad osservare quelle vecchie marionette, e nei suoi occhi si leggeva un certo stupore, come ne fosse affascinata.
-Dina..- farfugliò il killer, avvicinandosi a lei. Si fermò proprio al suo fianco, e spostò lo sguardo laddove la ragazza stava guardando.
C'era una grossa marionetta, proprio davanti a loro.
Era un uomo di legno a grandezza pressoché naturale, dotato di arti e collo snodabili ed appeso ad un gancio sul soffitto con cinque corde; un per ogni arto, e la restante per la testa.
Jeff restò fermo a guardarla, aggrottando la fronte. Sembrava un oggetto piuttosto antico, e finemente lavorato. La osservò finché, d'un tratto, la marionetta non mosse d'improvviso il capo.
Il killer cacciò un grido e balzò indietro.
-Che ti prende?!- domandò Dina, guardandolo con aria stupefatta -Sei impazzito?-.
-Quella cosa... Si è mossa- esclamò lui, con il fiato corto. Spostò nuovamente lo sguardo sull'uomo di legno, e scoprì che era tornato nella stessa posizione di pochi istanti prima. Ma si era mosso davvero?
Jeff scosse il capo e sospirò, tentando di recuperare il controllo. Ma fu proprio allora che si udì la sua voce, il suo canto folle e malsano.

-Mi chiamano il Burattinaio
le mie dita affusolate e le mie mani bagnate
con le mie lacrime versate
per i burattini che io dirigo
con le mie corde e i sogni-.

Che guerra sia 2 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora