3. I GEMELLI CONNELLY - Parte 1

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Il dottor Kettner non aveva chiesto niente di nuovo a Lucas. Le solite domande di routine, le solite raccomandazioni e il solito buco nell'acqua: non aveva capito quale fosse il suo disturbo.

Aveva tentato per l'ennesima volta di far parlare Lucas riguardo ciò che sentiva e vedeva, di nuovo gli aveva chiesto se credeva ancora di leggere nel pensiero e di nuovo l'aveva pregato di essere sincero con lui.

Sì, per farmi mettere di nuovo in isolamento!

Lucas era stanco di quella pantomima, non c'era nessun problema con lui. O meglio, un problema c'era e pure bello grosso, ma nessuno gli avrebbe mai dato credito. Cercava in tutti i modi di convincere Kettner che stava bene, che era guarito, tuttavia il dottore sapeva che stava mentendo e intanto continuava a prescrivere nuovi farmaci andando per tentativi. Lucas era certo che un giorno di quelli sarebbe morto di overdose.

Nel pomeriggio il ragazzo si ritrovò a gironzolare per i corridoi, annoiato. A quell'ora se ne stavano sempre tutti nella sala comune a guardare la televisione e lui non aveva voglia vegetare là in mezzo agli altri. Fare un giretto fuori sarebbe stato l'ideale, ma una provvidenziale pioggerella aveva cominciato a scendere proprio alla fine delle lezioni. Magari poteva cercare Amy per una scappatella...

Quando raggiunse la stanza della sua amica, però, notò che questa era vuota.

Perfetto... non gli restava che girovagare per l'istituto e rimuginare. Pochi minuti dopo essersi immerso in quell'occupazione assai impegnativa, l'altoparlante ordinò a tutti i pazienti di riunirsi nella sala degli incontri con lo psicologo.

Che cavolo c'è ora? pensò Lucas seccato. Chi aveva combinato cosa stavolta?

Poi ricordò. Quel giorno era previsto l'arrivo di due nuovi ragazzi all'istituto, forse volevano presentarli. Lucas si affrettò verso la sala riunioni e lungo il tragitto incrociò Stan, il colpevole del danno al condizionatore.

«Spero che tu sia soddisfatto Stan», lo punzecchiò, mentre lo superava lungo il corridoio.

Il ragazzo lo fissò con aria innocente. «Abbastanza, ma a che ti riferisci di preciso?»

Lucas sbuffò. «Alla tua bravata col condizionatore! Si muore di caldo qui!»

Stan scosse il capo, facendo ondeggiare i suoi capelli chiari. «Stavolta io non c'entro. È troppo caldo persino per me», replicò assumendo la sua tipica espressione da cane bastonato. « È opera di Darren.»

«Darren?», domandò Lucas, incredulo.

Darren era l'unico altro ragazzo oltre a Lucas a essere dentro all'istituto da due lunghi anni. Il suo problema? Non riusciva a tenere a freno la propria aggressività, almeno secondo le diagnosi degli esperti psicologi del centro. Lucas, invece, era fermamente convinto che il suo unico problema fosse che era un idiota. Lui e Darren non si erano mai presi sin dall'inizio. Era subito nata una sorta di rivalità tra loro, neanche si dovesse decidere chi era il maschio dominante. A Lucas non interessavano quel genere di stronzate. Darren poteva fare quello che voleva, purché non rompesse le palle a lui. Diamine, c'erano altri quattro ragazzi al Sunrise, perché doveva scocciare proprio lui?

«Cosa poteva aver fatto il condizionatore per irritarlo?» domandò Lucas quando lui e Stan raggiunsero la porta della sala riunioni.

Stan fece spallucce. «Chiedilo a lui.»

Il ragazzo scosse la testa e sorrise ironico. «No, non mi interessa più.»

L'ultima cosa di cui aveva voglia era parlare con Darren.

Una volta all'interno della stanza, Lucas fu piacevolmente sorpreso di trovarvi un ventilatore acceso.

«Avvicinatevi ragazzi!», trillò la voce della dottoressa Fitzpatrick dal centro della sala.

Gli altri pazienti erano già arrivati, Darren compreso, e avevano formato un semicerchio attorno alla Fitzpatrick, come accadeva ogni volta che era in atto una seduta di gruppo.

Lucas localizzò Amy alla sua destra e si avvicinò. Lei gli regalò un sorriso indolente.

«Lucas...», cominciò in modo teatrale, «non potrai più infilarti nel mio letto.»

«Perché?», domandò lui, allarmato. Se doveva rinunciare anche a quel passatempo tanto valeva tagliarsi le vene con un coltello di plastica.

«Ho una compagna di stanza adesso, la nanerottola là al centro», disse Amy.

Lucas seguì la direzione indicatagli dalla sua amica e si ritrovò a fissare una ragazza alta circa un metro e sessanta, dal fisico minuto e dai capelli di uno straordinario colore rosso. I suoi occhi erano di un brillante verde acquamarina. Carina. Molto carina.

Accanto a lei un altro ragazzo, più alto di almeno quindici centimetri, stava regalando a qualcuno in prima fila un'accattivante sorriso sbilenco. Anche lui era molto carino: gli occhi erano come quelli della ragazza ma i capelli erano più tendenti al castano e, mentre la ragazza sembrava introversa e timida, lui sembrava uno sbruffone. Lucas inarcò un sopracciglio.

Già mi sta sulle palle!

«Magari potrei infilarmi nel letto di entrambe», suggerì poi, strappando ad Amy un sorrisetto malizioso.

«Ragazzi, loro sono Keira e Joshua Connelly. Da oggi entrano a far parte della famiglia del Sunrise. Mi auguro vivamente che sarete in grado di farli sentire a loro agio», annunicò la Fitzpatrick quasi a mo' di ammonimento.

«Nessuno è a proprio agio qui», dichiarò una ragazza alla sinistra di Lucas con tono sepolcrale.

Era Chloe Burton, la paziente più cinica e deprimente che Lucas avesse mai conosciuto. Chloe era giunta al Sunrise da qualche mese e, da quando era arrivata, le uniche cose che erano uscite dalla sua bocca erano commenti caustici e di tanto in tanto previsioni apocalittiche. Kettner diceva che soffriva di una grave forma di depressione e che aveva perso fiducia in tutto. Lucas sapeva che veniva da una situazione familiare violenta, quindi il suo comportamento era abbastanza comprensibile, ma che diamine! In quel posto erano già tutti abbastanza demoralizzati, senza che ci si mettesse pure lei con le sue uscite nefaste. Amy la chiamava la iettatrice.

«Chloe... non dici sul serio», la riprese dolcemente la Fitzpatrick.

«Sono serissima invece. Tutti marciremo qui. O là fuori. Marciremo in ogni caso. Con una prospettiva del genere come si fa a sentirsi a proprio agio?»

Lucas ringraziò il cielo di non aver mai provato a leggere la mente di quella ragazza. Probabilmente non sarebbe più riuscito ad uscirne, doveva essere un vero abisso di disperazione. 

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