7. CONOSCIMI - Parte 3

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Lucas restò spiazzato da quella confessione. 

Continuò a guardare Keira, che ora si fissava le mani e giocherellava con l'orlo della maglietta. La lieve luce che emanavano i faretti coperti dalle sue t-shirt creava un effetto stupendo sul viso di lei, la faceva sembrare una specie di fata, con quei capelli rossi e gli occhi acquamarina. L'unica cosa a stonare su quel quadro perfetto era la sua espressione tormentata. Lucas si riscosse dalla contemplazione della ragazza e ragionò sulle sue parole: Keira aveva previsto l'incendio prima che accadesse, doveva sentirsi responsabile per la morte dei suoi genitori.
Era assurdo farsene una colpa, ma Lucas poteva comprendere lo stato d'animo di Keira. È difficile razionalizzare di fronte alla perdita di una persona amata, la mente si affolla di domande e di "e se..." e uscire da quel tunnel di rimpianti non è semplice. Lucas lo sapeva bene, si era sentito allo stesso modo quando suo padre era morto.

«Senti Keira... tu non potevi sapere...»

«Ti prego non dirlo. Ne ho abbastanza di sentirmelo dire», sospirò scostandosi una ciocca rossa dal viso. Lucas annuì impercettibilmente e restò in silenzio per un po'.

«E quei segni?», chiese indicando il polso della ragazza. «Cosa sai di quelli?»

«Proprio niente. Sono apparsi dopo le visioni. Il primo è questo», spiegò indicando un segno simile a un'acca con la stanga centrale storta, «e questo l'altra sera», concluse sfiorando il secondo simbolo, esattamente sotto al primo. Quello sembrava una x racchiusa tra due linee verticali più lunghe. Osservandoli da vicino, Lucas non ebbe più dubbi, erano rune, i simboli che costituivano l'alfabeto usato dalle antiche popolazioni germaniche. Era sempre stato appassionato di filologia germanica e aveva letto diversi libri al riguardo. Poteva essere una semplice coincidenza? Forse, o forse no.

Keira scosse la testa e sorrise, sempre guardando di fronte a sé. «Io non so perché ti sto dicendo queste cose... non ti conosco nemmeno.»

«Allora conoscimi», rispose lui, serio, «conoscimi Keira.»

La ragazza lo guardò negli occhi e lui vide esplodere nella sua mente le immagini di tutto ciò che le era capitato. La prima visione, la morte dei suoi genitori, il funerale, i servizi sociali, l'istituto e persino l'incontro di quel pomeriggio con la Fitzpatrick. Grazie a quest'ultimo ricordo, Lucas capì la ragione per cui Keira e il fratello avevano litigato.

Dio! Josh non capiva un tubo di sua sorella.

«Così tu... non riesci a piangere?», chiese incerto. Forse Keira non voleva che lui vedesse anche quella cosa in particolare.

«No... è triste, vero?», disse mestamente.

«È più triste quello che ti è successo», replicò lui, sincero. Lucas non si era mai sentito così vicino a una persona quanto si sentiva vicino a quella ragazza appena conosciuta.

«Ora lascia che ti racconti io qualcosa di me», disse, sperando di distrarla dalla sua tristezza. «Sono qui da due anni ormai. Ne avevo appena compiuti quindici quando la mia madre adottiva mi ha spedito all'istituto credendomi fuori di testa.»

«Sei stato adottato?», l'interruppe Keira con tono sorpreso.

«Sì. Quando avevo cinque anni i miei genitori adottivi mi hanno preso dall'orfanotrofio in cui ero stato abbandonato appena in fasce e mi hanno portato con loro.»

«Mi dispiace...», sussurrò Keira.

«No, perché? Ho avuto dei bravi genitori...»

Lucas ripensò a suo padre e dovette sforzarsi per mantenere la calma. «Mio padre era un papà meraviglioso. Facevamo tutto insieme, dalla spesa ai lavori a casa, dallo sport alle escursioni. Mi ha insegnato tantissime cose. Mi faceva sentire accettato, amato, non più il figlio di nessuno. Sua moglie, mia madre, non era come lui, a suo modo mi voleva bene, mi vuole bene, ma non è mai stata convinta della scelta che avevano fatto all'orfanotrofio. Una sera li ho sentiti che discutevano e lei ha detto che quelli dell'orfanotrofio mi avevano definito "strano". Comunque è andato tutto bene finché mio padre non si è ammalato ed è mancato nel giro di un paio di mesi. Avevo tredici anni. Mia madre mi guardava in modo sospetto e io non ne capivo la ragione.» Lucas si fermò per prendere fiato e accertarsi che Keira stesse seguendo. Lei pendeva dalle sue labbra.

«Fu in quel periodo che mi successe per la prima volta di leggere nel pensiero. Durante la malattia vegliavo sempre su mio padre e una sera, inaspettatamente, mi bastò incrociare i suoi occhi scuri per sprofondare nella sua mente. All'inizio non capii cosa stava succedendo, le immagini mi vorticavano davanti agli occhi come diapositive, i pensieri e i ricordi di mio padre mi sommersero, ma ce ne fu uno, in particolare, che riuscii a mettere a fuoco in quel caos. Visualizzai l'orfanotrofio in cui ero cresciuto, vidi i miei genitori, più giovani, sedere di fronte alla scrivania della direttrice della struttura e capii finalmente perché all'orfanotrofio mi ritenevano "strano" e anche il motivo per il quale mia madre era stata così restia ad adottarmi.» Fece una pausa, sperando che ciò che stava per rivelarle non facesse scappare Keira a gambe levate. Non aveva mai raccontato a nessuno quella storia, nemmeno ad Amy. Keira era la prima persona con cui ne parlava.

La ragazza lo scrutava con espressione preoccupata, l'attesa e la curiosità erano visibili nel suo sguardo.

«Qual era il motivo?», domandò.

Lucas fece un profondo respirò e proseguì. «A quanto pare, il giorno in cui mi hanno abbandonato davanti all'orfanotrofio ero morto.»

Keira strabuzzò gli occhi, incredula. «Morto?»

Lucas annuì. «Almeno lo sembravo, in tutto e per tutto. Gli operatori dell'istituto mi hanno portato dentro per darmi un'occhiata. Non respiravo, il mio corpicino era rigido e bluastro a causa del freddo. L'infermiera che mi stava visitando notò un piccolo segno sulla mia testa, era appena visibile, ma c'era. Lo toccò per capire se si trattava di una cicatrice o simili, ma non appena le sue dita lo sfiorarono, la donna fu scaraventata via da un lampo di luce accecante.»

Lucas sentì Keira trattenere il respiro. Lui non la stava guardando, fissava invece l'erba ai suoi piedi, troppo spaventato all'idea di leggere paura o disprezzo negli occhi e nella mente della ragazza. «L'infermiera morì. Il simbolo sparì dalla mia fronte e io cominciai a vivere», concluse, portandosi distrattamente una mano sul capo. «Questo è ciò che hanno raccontato ai miei genitori adottivi, così come l'ho visto nella mente di mio padre. Forse mia madre pensa che sia colpa mia se mio padre si è ammalato, forse è per questo che mi ha sempre guardato con diffidenza dopo che lui...», la sua voce si spezzò e le parole gli rimasero intrappolate sulle labbra.

Keira, non esitò nemmeno un istante, si sporse verso di lui e prese la mano che Lucas teneva ancora sulla fronte, stringendola nella sua. Per la prima volta da quando aveva cominciato a raccontare, il ragazzo trovò il coraggio di guardare Keira negli occhi e in essi colse tutta la compassione e la tristezza che lei provava per lui. Nella sua mente, Lucas percepì anche il desiderio di lei di consolarlo, di stringerlo e rassicurarlo, ma non sapeva come fare, non voleva essere invadente. Allora fu Lucas a fare il primo passo: intrecciò le dita a quelle della ragazza e appoggiò la guancia alla mano di lei. In quel contatto, Lucas sentì tutto il calore che emanava da Keira, tutta la dolcezza che sgorgava da lei e si riversava su di lui, facendolo sentire a casa per la prima volta da quando era morto suo padre.

Keira non sapeva quanto tempo fosse passato da quando lei e Lucas erano lì, in silenzio, mano nella mano.

«Forse è meglio rientrare», disse il ragazzo guardando l'orologio al polso, «sta per scattare il coprifuoco.»

Keira annuì e osservò in silenzio mentre Lucas si alzava per raccogliere le sue cose e sistemarle nello zaino. Quando spense i faretti, l'ambiente sprofondò nell'oscurità e, per un istante, a Keira sembrò di essere inghittita dalle tenebre, le stesse tenebre che aveva visto nella sua ultima visione. Annaspò alla ricerca di un appiglio e trovò la mano calda di Lucas. Bastò quel lieve contatto per calmarla e farla sentire al sicuro. Era come se per tutta la sua vita non avesse fatto altro che stringere la sua mano. Come può essermi così familiare il tocco di questo ragazzo?

Quando si infilò a letto, Keira rifletté a lungo su ciò che era successo quella sera, su ciò che aveva scoperto di Lucas e su quello che lei gli aveva permesso di vedere su se stessa.

Perché l'ho fatto? Si chiese rigirandosi tra le lenzuola fresche, accompagnata dal respiro regolare di Amy, che dormiva nel letto accanto.
Amy... lei e Lucas andavano a letto insieme e Keira non poteva permettersi di prendere una cotta per lui. Ma quella sera si erano messi a nudo l'uno con l'altra, si erano esposti troppo per restare indifferenti.
Keira sentiva di essersi tolta un enorme peso dal petto. Parlare con Lucas di ciò che le succedeva e che temeva le sarebbe successo ancora l'aveva aiutata a non sprofondare nella paura. E poi... poi c'era stata quella strana sensazione, quando Lucas le aveva preso la mano e lei si era sentita bene per la prima volta dalla morte dei suoi.
Non aveva idea di cosa sarebbe successo da quel momento in avanti, ma di una cosa era certa: lei e Lucas ora erano legati.

NightFall - Il PortaleWhere stories live. Discover now