Capitolo Ventisei - Sposala

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01_Ottobre_2011
Sofia Pov

Era passata una settimana dal giorno delle lucciole, da quando Edoardo ed io ci eravamo confessati il nostro amore. Una settimana in cui mi aveva amato in silenzio, nell'attesa che io gli raccontassi cosa mi immobilizzava, ogni volta che lui non mi sfiorava il viso, il braccio o il collo, ma qualche altra parte del corpo.

Gli avevo raccontato di Ginevra e l'avevo pregato di non dirle nulla, di non parlarle riguardo la nostra discussione nel mio ufficio. Mi ero resa conto che ero stata dura, forse troppo, che lei era, prima di essere malata, una persona ferita dall'amore, da quell'amore non corrisposto che le lacerava il cuore da sempre e certo meritava anche lei un po' di felicità.

"Sposala, Edoardo. Lo devi fare, per il bene che le vuoi, per l'amore che ha sempre provato e prova per te. Se per lei è quella la felicità, regagliela. Io so sempre che sei mio e tu sai sempre che sono tua. Ed io sarò qui per te".

"È questo uno dei motivi per cui ti amo, te ne rendi conto?!"

Sorrisi e lui mi attirò a sé baciandomi languido. Gli presi il viso tra le mani e mi staccai appoggiando la fronte sulla sua bocca.

Meritava di sapere la verità. Doveva sapere tutto, doveva conoscere ogni singola piccola sfaccettatura, ogni minuscola o profonda cicatrice che mi solcava l'anima.

"Devi sapere..." mormorai

"Sono qui e voglio sapere tutto...voglio conoscere ogni sfumatura bella o brutta che sia..."

Alzai la testa e lo guardai, presi un grosso respiro e lo trascinai fino al letto per sedermi e cercare di stare calma più possibile.

"Sei la seconda persona a cui racconto questa cosa, la prima è stata una psicologa. A Tata e Nali non ho dovuto, non ce n'è stato bisogno, hanno capito da sole, quando mi hanno visto..." dissi piano con la testa bassa.

Lui strinse di più le mie mani, poi le portò alla bocca e le baciò ed io non potei fare a meno di guardarlo.

Ed era il mare calmo di un giorno di prima estate, luminoso, limpido, lucente, che solo ad osservarlo infondeva tranquillità.

Ed io ritrovai la forza e presi il racconto ma non ero neppure nel vivo del fattaccio che lui si avvicinò di colpo e mi strinse.

"Non ho bisogno di sentire altro, non voglio che racconti oltre...Voglio solo starti vicino e sapere se stai bene..."

"Sto bene, ora sto bene..." sussurrai sul suo petto.

"Come hai fatto a portare dentro un peso simile...ed io cosa posso fare per alleviarlo..."

"Tu sei già cura per me, il tuo amore mi aiuterà a superare la paura che mi assale quando mi tocchi, perché le tue mani, non sono le sue e il tuo corpo non è il suo..."

"Mi dispiace di essere stato irruento, di aver..."

"No, no" lo zittii posando le dita sulla sua bocca "non è colpa tua, sono solo io...ma credimi farò di tutto, perché voglio darti il mio amore, voglio darti tutto di me, voglio ricominciare ad amare ed essere amata, solo per te; perché tu hai fatto cadere la tua corazza e hai fatto breccia nella mia così come sei, con tutto te stesso".

"Ti amo..." bisbigliò e mi accoccolò di nuovo tra le sue braccia.

24_Ottobre_2011
Edoardo Pov

Era quasi un mese che stavamo insieme ed io ero innamorato pazzo di Sofia. Era la donna più forte, altruista e buona che avessi mai incontrato. I suoi occhi scuri nascondevano tutto il male che aveva sofferto ma la sua anima brillava di limpidezza. Ed io standole accanto mi sforzavo di essere migliore.

Ginevra non aveva più anticipato il matrimonio ed io la chiamavo quasi tutti i giorni per sapere come stava e almeno una volta a settimana, passavo da lei per cenare insieme. Ancora una volta Sofia mi aveva spinto a farlo.

Sofia era tornata dalla psicologa che l'aveva aiutata dopo la violenza. Era decisa a superare quel trauma che alzava barriere nei miei confronti ed io nonostante la desiderassi costantemente e sempre più, ogni volta che la baciavo o la stringevo, mi sforzavo di non starle troppo addosso, in tutti i sensi.

Quella mattina mentre eravamo in riunione mi arrivò una chiamata, mi allontanai e risposi:

"Edoardo Bonelli?"

"Sì, sono io, chi parla?"

"Chiamo dall'ospedale Gemelli...chiamo per conto della signorina Marconi. Dovrebbe venire qui, al reparto oncologico, prima possibile"

"Sto arrivando, grazie"

Rientrai in sala e chiamai Sofia, quindi ci allontanammo dagli altri:

"Devo andare al Gemelli, Ginevra è lì. Ieri sera l'ho sentita ma mi ha detto che stava bene..."sospirai "sto per avere un attacco di panico..."

Mi prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo " Guardami! Respira...andrà bene..."

Respirai profondamente "Ho una brutta sensazione...no...non sono pronto..."

"Stai tranquillo, va da lei...andrà bene..."

Annuii poi incollai la bocca alla sua:

"Vado, ti chiamo dopo..."

Sorrise ed io scappai via.

Quando arrivai mi condussero alla sua stanza, lei era distesa a letto. Mi avvicinai e la chiamai. Si girò lentamente verso di me, aveva il volto scavato, gli occhi affaticati, abbozzò un sorriso:

"Hai fatto presto..." disse flebilmente.

"Sì, sono qui..."

"Ti ho fatto venire perché devo dirti delle cose prima che sia troppo tardi, stanno arrivando anche i miei, li ho avvisati. Devo chiederti scusa prima di tutto..."

"No..."

"Non mi interrompere per favore...Edo... sei l'amore della mia vita, lo sei sempre stato ed io ho sperato di esserlo per te... ho tentato anche troppo di esserlo; ma l'amore non si sceglie, non viene a comando. La luce che hai negli occhi quando parli di lei...non l'ho mai vista prima. E per come sei, sono certa che anche lei deve amarti davvero tanto. Scusa se ti ho ingannato, illuso, costretto. Ti auguro tutto il meglio...ti auguro di sposare la donna che ami e di essere felice..." disse a fatica, lentamente e a voce bassa "E grazie, per esserci stato...porterò sempre con me i tuoi occhi blu...Addio..."

"Ginevra, quale addio, quale grazie... andrà bene, inizierai un'altra terapia e ti rimetterai!!" dissi di botto, con il cuore in gola.

"Non c'è tempo...Edo..."

"Che dici?!No...no..." biascicai

"Ti amo, Edo...lascia che riposi, ora..."

In quell'istante i suoi entrarono trafelati e si gettarono su di lei. Io avevo bisogno di respirare ed uscii di corsa sul corridoio. Mi poggiai con la testa contro il muro e senza accorgermene fui invaso da tremori e singhiozzi, gli occhi furono annebbiati dalle lacrime e scivolai contro il muro sedendomi sul pavimento. Piegai le ginocchia, le abbracciai e vi poggiai la testa.
E piansi.

Amami come Mai © #Wattys 2020Where stories live. Discover now