Capitolo 4

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Cinque giorni legata a questo albero.
Cinque
Cinque

Cinque giorni passati a guardare il vuoto.
Sono impazzita? Non so.

Forse.

Quasi sicuramente.

Di Pan nessuna traccia.

E non so se sia un bene o un male, perché la mia voglia di vederlo è pari a zero, ma non ho intenzione di rimanere qui a vita.

Oppure sarà proprio così? Mi terrà legata qui finché non muoio?

Ok, non devo farmi prende dalle paranoie.
Non è poi tanto male, posso finalmente stare un po' in pace, sola con i miei pensieri.

Venderesti un rene pur di vedere qualcuno venire ad aiutarti.

Sto benissimo qui, non ho bisogno di nessuno.

Anche se quel qualcuno fosse Pan.

Ripeto, non ho bisogno di nessuno.

Mi fa quasi ridere il fatto che in tutto questo casino di radici, foglie e terra io abbia rivisto la mia vecchia città.

Ero incatenata a quel posto , l'unica cosa che mi bloccava dal fuggire era mio fratello.
La città era l'albero, e mia madre le sue radici. Mi stringeva a se, fino a togliermi il respiro e non mi avrebbe mai lasciata andare. Ma è come se io quelle radici le avessi strappate, estirpate col sudore e con i denti, con tutta la forza che avevo. E cos'era rimasto?
Nulla.
Solo i residui di un albero caduto in pezzi e le mie mani sporche di fango, di errori e di bugie.

«Ti sei schiarita le idee?»

Apro gli occhi e Pan è seduto davanti a me, un ghigno soddisfatto sul volto.

Grazie al cielo!

Può anche tornare da dove è venuto.

Mi osserva con un sopracciglio alzato, e la voglia di prenderlo a testate supera quella di liberarmi da qui.

Mi esce una risatina.
«È cambiato qualcosa? Credi che adesso starò su uno dei tuoi ripiani a fare la bella statuina e ti permetterò di manipolarmi?»
La mia voce è rauca e debole, dato che non parlo da parecchio. Devo schiarirmi la gola per poter parlare più chiaramente.

Il suo sguardo non vacilla, le sue iridi rimangono impeccabilmente fisse sui miei occhi, incollate.

«Cinque giorni non sono bastati?»

«Portandomi qui mi hai condannato ad una vita intera incatenata, prigioniera. Credi che cinque giorni cambino qualcosa?» ringhio, furiosa.

Crede che mi spaventi così facilmente?
Crede che qualche minaccia possa farmi strisciare ai suoi piedi?

«Questo è il minimo che ho da offrirti Wendy. Ci sono almeno un milione di altri modi per farti capire chi comanda qui»

«Minacce su minacce. Sono solo parole su parole» sussurro.

«A me sembri solo un gran chiacchierone. Non ho motivo per obbedirti, ne per portarti un briciolo di rispetto. Tu per me non sei niente, niente se non un ragazzino viziato» sputo fuori quelle parole con rabbia, sperando che il mio veleno lo colpisca e lo prosciughi fino a farlo consumare davanti ai miei occhi.
Ma lui si alza di scatto, guardandomi inespressivo. Ma sempre quel tono di divertimento sul volto, come se fossi un intrattenimento, un gioco.

Run, Wendy || COMPLETAWhere stories live. Discover now