Capitolo 34

1.6K 69 4
                                    

Isola che non c'è

Esco dall'acqua il più velocemente possibile e mi tolgo gli stivali bagnati.
Sto ancora cercando di regolarizzare il respiro, le mie mani tremano leggermente mentre cerco di sistemare la maglietta ormai appiccicata al mio corpo.

«Wendy...» mi richiama, ma lo ignoro.
Continuo a dargli le spalle e a sistemarmi impacciatamente i vestiti fradici.
Lo sento uscire dall'acqua e avanzare verso di me, ma io inizio a camminare verso l'uscita di quel posto.

«Wendy, aspetta» si materializza davanti a me e mi prende per un braccio, mandando una scarica di brividi troppo familiari lungo la spina dorsale.

«Smettila!»
Mi allontano bruscamente dal suo tocco e faccio un passo indietro.
Tengo lo sguardo basso, le mani che spostano ripetutamente i capelli dietro le orecchie in un movimento nervoso.

«Di fare cosa?» chiede calmo, ma evidentemente confuso.

«Di fare...questo» rispondo passando in dito da me a lui più volte.

Mi passo una mano sul viso, cercando di allontanare le sensazioni che il suo corpo vicino al mio mi provocano.

Non posso credere di essermi lasciata abbindolare così. Insomma, so meglio di tutti che di Peter Pan non mi posso fidare.
Lui mi ha rapita, minacciata, manipolata, ferita. E adesso? Mi sono lasciata baciare da questo bugiardo, sadico, bastardo.

«È tutto sbagliato» sussurro più a me stessa che a lui.
Sento la testa scoppiare a causa dei miei sentimenti contrastanti.
È vero che la mente mi dice che lui è pericoloso, malvagio, che dovrei allontanarmi, prendere quella dannatissima perla e distruggerla così da liberarmi dal peso che mi sta schiacciando piano piano verso il terreno.

Ma c'è una piccola parte di me, un piccolo spazio del mio cervello che mi grida di stargli vicino, di continuare a provare le stupende sensazioni che solo lui è stato in grado di procurarmi. Ma non lo posso fare.

Perché è proprio lui a farmi sentire così? Dovrebbe essere il primo nome sulla mia lista nera, la persona che odio di più in tutto il mondo perché mi ha strappata dalla mia vita, nonostante essa non fosse delle migliori. Mi ha costretta ad allontanarmi da mio fratello, mi ha rinchiusa in una gabbia, mi ha quasi uccisa.
E io cosa faccio? Non faccio altro che pensare alle sue labbra sulle mie, alle sue mani sui miei fianchi, alle mie tra i suoi capelli.
E ai suoi occhi scuri ma chiari, bui ma luminosi. Alle sue braccia che mi stringono forte, alla mia testa sul suo petto, al fatto che mi ha salvato la vita e che si è preso cura di me.

«Questo non è sbagliato Wendy» insiste, alzandomi il mento con due dita e costringendomi a guardarlo negli occhi.
La luce non è scomparsa, è tutta lì, in quei luminosissimi smeraldi verdi.

«Lo vorrei tanto...» sussurro vicina al suo viso, sentendo le lacrime pizzicarmi gli angoli degli occhi.
Mi sorride lievemente, passando le sue dita sulla mia guancia. Chiudo gli occhi per un secondo, beandomi di quel breve contatto.

«Vorrei tanto che non fosse sbagliato» riapro gli occhi, osservando il suo sguardo vacillare per qualche attimo.

«Vorrei tanto poterci credere. Poter credere che per te questo non è tutto un gioco, che non sono solo un'altra pedina che puoi usare a tuo piacimento. Vorrei poter credere non sia tutta una finzione, un'altra grande bugia creata per soddisfare i tuoi desideri. Vorrei poter credere che la luce che entra nei tuoi occhi quando mi guardi sia sincera, che la mia presenza al tuo fianco ti renda nervoso, che il mio tocco sulla tua pelle ti provochi brividi in tutto il corpo» la mia voce trema visibilmente, ma in questo momento non posso fare nulla per fermarla.

Run, Wendy || COMPLETADove le storie prendono vita. Scoprilo ora