Capitolo 38

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Prendo un respiro profondo e cerco con tutte le mie forze di aprire gli occhi, ma sembrano serrarsi ancora di più.
Non è ancora il momento.

Aspetto finché l'assordante rumore del vento non cessa, lasciando spazio al limpido canto degli uccelli.
So dove siamo, nonostante abbia gli occhi chiusi. L'aria umida e pungente di questo posto l'ho vissuta fin troppo, così tanto da permettermi di non scordarla mai.

«Dove siamo?» mormora Pan accanto a me, stringendo notevolmente la presa sulla mia mano.

Finalmente mi decido ad aprire gli occhi, ammirando per l'ennesima volta dopo molto tempo il luogo che potrei definire casa mia. La mia casa quando da bambina mi sentivo confusa e sola, quando le gocce di pioggia cadevano incessanti sul terreno creando una delle atmosfere più rassicuranti che avessi potuto incontrare.

«Kensington Gardens» un sorriso spunta sulle mie labbra mentre mi rigiro nell'aria malinconica di questo posto.

È sempre stato più bello di notte, quando non ci sono urla e schiamazzi di bambini che si divertono nella loro ingenuità e dei loro genitori ipocriti ed egoisti.
Solo tu e le stelle occasionali, che spiccano quando non ci sono le nuvole a coprirle.

«E adesso?» domanda, visibilmente disorientato.

«Sy ha detto che la sua "conoscenza" verrà a prenderci domattina, quindi suppongo che dovremmo trovare un posto abbasta decente dove poter dormire» rifletto.

«Beh, tu conosci Londra meglio di me. Dobbiamo andare in un luogo dove nessuno possa vederci. L'ombra verrà a cercarci quando si accorgerà della nostra assenza, dobbiamo nasconderci»

Chiudo gli occhi cercando di pensare ad un luogo dove non possa trovarci, abbastanza nascosto ma non troppo scontato. Per un attimo mi balena l'idea di andare verso la mia vecchia casa, ma sicuramente è il primo posto dove ci verrebbe a cercare. Se andassimo in un luogo per il quale passa molta gente sicuramente farebbero storie vedendo due ragazzini sporchi e stanchi buttati in mezzo alla strada. Ci serve un posto dove non verremo notati, dove potremmo confonderci con la massa e non essere disturbati.

«C'è un posto. Ci sono stata un po' di volte, credo sia a circa un'ora da qui»

«Perfetto, andiamo»

Mi guardo intorno cercando di ricordare la strada, ma a distanza di anni la mia mente l'ha quasi completamente rimossa.

«Chiedo a quel tipo laggiù» indico un anziano signore seduto su una panchina con un cenno del capo.

Mi dirigo verso di lui seguita da Pan, dovendomi stringere nelle spalle a causa dell'improvviso vento gelido dell'inverno.

Mi fermo davanti a lui, cercando di distogliere la sua attenzione dal giornale schiarendomi la gola.
Mi scruta da sotto i piccoli occhiali, guardandomi con la palese richiesta di non disturbarlo.

«Signore-»

«Lasciami in pace ragazzina» mi interrompe bruscamente borbottando tra i lunghi baffi bianchi, tornando a leggere il suo giornale sgualcito.

Alzo le sopracciglia, colta di sorpresa dalla maleducazione e l'arroganza di quell'uomo.

«Io...» mormoro incerta. Uno sconosciuto è riuscito a mettermi in soggezione con una sola frase e un solo rapido sguardo di disinteresse. Perché non reagisco? Perché non riesco a mostrarmi sicura e indifferente come sempre?
Potrei dire di sentirmi quasi in imbarazzo, nonostante non ci sia nulla per cui essere imbarazzati!

«Volevamo chiederle delle indicazioni» si intromette Pan dandomi una piccola gomitata e lanciandomi un'occhiata confusa.

Il signore sbuffa, senza degnarci di uno sguardo.

Run, Wendy || COMPLETAWhere stories live. Discover now