Capitolo 43

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Un fascio di luce mi colpisce improvvisamente in viso, costringendomi a portare una mano in alto nel tentativo di coprirmi gli occhi per il fastidio. Tossisco un paio di volte, percependo il sapore salato del mare impregnarmi la lingua. Apro gli occhi sotto la fievole ombra creata dalla mia mano, distinguendo il contorno delle mie dita pallide e ricoperte di granelli di sabbia. Alzo il busto a fatica, riconoscendo compiaciuta il suono pacifico del mare.
Sorrido impercettibilmente alla vista di quel punto dell'isola, sollevata ma allo stesso tempo innervosita di trovarmi di nuovo lì. Mi beo per qualche attimo del caldo sole che mi riscalda il corpo ancora abituato al freddo gelido di Londra, accompagnandolo con dei profondi respiri.
Vengo investita da una lunga folata di vento caldo e piacevole che mi manda una scarica di brividi lungo la spina dorsale.

Mi guardo intorno, ma l'immensa distesa di sabbia e le poche piante che sporgono dalla foresta sono le uniche cose che rientrano nella mia visuale.

«Pan» mi ritrovo a mormorare con voce secca e debole, consumata probabilmente dalla quantità di acqua salata ingerita.
Poggio le mani sul terreno, sollevandomi da terra con uno sforzo esagerato per un'azione così semplice. Le gambe tremano sotto il peso del mio corpo e mi ritrovo a barcollare disorientata mentre cerco di fare qualche passo in avanti. Porto una mano sulla fronte sudata cercando di placare in qualche modo l'insopportabile dolore alla testa mentre cerco di elaborare la situazione.

I ricordi si insinuano nella mia mente in maniera casuale e sovrapposta.
Ho delle visioni confuse della mia casa e, purtroppo, di mia madre stesa sul tavolino della cucina. Ricordo l'oscurità dell'ombra e una sensazione fantastica attraversarmi il corpo, qualcosa che mi ha fatta sentire al sicuro e indescrivibilmente potente, un calore leggermente familiare e un'energia incontrollabile.

«Pan» ripeto a voce più alta, ma in risposta ottengo solo il rumore delle onde che si infrangono sulla riva.

«È andato via poche ore fa»
Mi giro di scatto verso la debole voce.
Il cappuccio sulla testa e i capelli che fanno ombra sul suo viso ma dai quali sono comunque evidenti le varie ferite e lividi che macchiano gli spazi di pelle scoperti. Uno sguardo perso che non si abbina alla sua presenza e che rende i suoi occhi verdi più malinconici del solito.

Mi avvicino lentamente sotto il suo sguardo evasivo e allungo una mano verso di lui per poi tirare giù con un movimento netto il cappuccio dalla sua testa. Mi trattengo dal sussultare a causa di quello che mi trovo davanti. Le labbra sottili impregnate di sangue secco, la pelle violacea ma allo stesso tempo tremendamente pallida, i vari tagli sul suo viso che si confondono con la cicatrice già presente da tempo.

«Felix...» il suo nome sussurrato esce come un segno di sconfitta, le sue condizioni ormai tristi e troppo deplorevoli perfino per una persona come lui.

«Sto bene» si riprende subito tornando a mantenere uno sguardo duro e impassibile, che ormai ho imparato a riconoscere »
«Ma Peter...»

«Dov'è?»

Evita il mio sguardo e lo porta dietro di me, sopra la mia testa, ai miei piedi, sul mare, sugli alberi, al cielo. Ovunque pur di evitare i miei occhi, e questo sprigiona una pessima sensazione all'interno della mia mente.

«Lui dov'è?» ringhio avvicinandomi al suo viso così che possa incrociare il mio sguardo.

Immerge i suoi occhi nei miei.
È raro scorgere segni di allegria o felicità in Felix, quindi il suo volto cupo e pensieroso non dovrebbe allarmarmi troppo. Eppure c'è qualcosa di diverso, un piccolo segno nei suoi occhi che trapela preoccupazione e...tristezza.

«L'ombra l'ha preso, Wendy»

Scuoto la testa impercettibilmente.

Pan non può essere con lei.
Non è in pericolo, non è lontano da me.

Run, Wendy || COMPLETADove le storie prendono vita. Scoprilo ora