Capitolo 25

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«Eccoti! Sei stata via molto»
Emma viene verso di me e prende alcuni dei frutti che tengo in mano per aiutarmi.

Scusatemi, ero impegnata con un malvagio demone bipolare che cerca di uccidermi in continuazione, che mi ha toccata, provocata, e io l'ho lasciato fare.

«Mi ero persa» dico semplicemente, con un sorriso tirato.

Killian è seduto a terra, con la schiena poggiata al tronco di un albero e lo sguardo puntato nel vuoto. La sue dita disegnano forme irregolari sul terreno, movimenti casuali. I capelli sono disordinati, i vestiti leggermente sporchi di terra, la giacca di pelle strappata in alcuni punti. Eppure mantiene uno sguardo deciso, duro, come se niente e nessuno potesse scalfirlo. Deve aver percepito il mio sguardo insistente su di lui poiché gira la testa e incrocia i miei occhi.
Ghiaccio contro ghiaccio, sguardi colmi d'odio, di disgusto. Ai suoi occhi sono qualcosa da disprezzare, qualcosa che vale la pena distruggere, spezzare, colpire fino a farla scomparire nel vuoto.
E nel suo sguardo rivedo l'intero universo, la Terra, gli uomini. Colmi d'odio per qualcosa che nemmeno conoscono, ma che è troppo complicata per essere compresa o ascoltata. La rabbia bollente, la voglia di prevalere sulla vita di qualcuno solo per il semplice gusto di farlo, solo per vendicarsi di qualcosa di inevitabile. Questi sono gli sguardi che uccidono, quegli sguardi feroci ma allo stesso tempo calmi, attenti. Però in fondo tutti gli uomini sanno che quel qualcosa che tanto vogliono distruggere in realtà è solo una scusa per scappare da se stessi. Perché lo sa anche Killian che in realtà non avrebbe nessun motivo per disprezzarmi così. Lui ha fatto lo stesso, ha stretto un patto con Pan per proteggere i suoi amici. E lui è consapevole del fatto che al mio posto avrebbe fatto esattamente la stessa cosa. Eppure i suoi occhi sembrano prendere fuoco mentre mi osserva come se fossi la ragione di tutti i suoi mali.

Ecco quello che vedo io.
Un codardo.

«Non ce l'ha con te. Credo sia arrabbiato per la scomparsa di Mary Margaret» Neal mi posa una mano sulla spalla, cercando di rassicurarmi.
Lo guardo, un sorriso tirato gli riempie il viso, e devo resistere dall'impulso di roteare gli occhi.
Tutti questi sguardi falsi, queste carinerie, queste parole dette a vuoto.
Non servono a niente.

«Sono sicuro che andrà tutto bene. Vedrai, riusciremo a tornare a casa»

«Grazie Neal»mi sforzo di ricambiare il sorriso, ma credo mi sia uscita più una smorfia.
Se solo sapessero che non ho bisogno delle loro parole rassicuranti, se solo sapessero che in realtà non sono la ragazzina debole che ha bisogno di un costante sostegno. Se sapessero tutto quello che ho passato riuscirebbero a vedere la mia corazza, l'armatura che mi sono creata nel corso degli anni e forse capirebbero che le frasi fatte, le rassicurazioni, le false promesse, non mi servono.

Eppure capisco quanto in realtà questo sia normale, che le persone cerchino di farti sentire protetta, al sicuro, anche se solo con delle gentili parole.
E mi chiedo come sia avere qualcuno che ti riservi questi sguardi dolci, compassionevoli, colmi di amore. E forse capisco anche che non sono loro a sbagliare, ma io.
Sbaglio io a credere di non aver bisogno di nessuno, a convincermi di poter alzarmi da sola anche quando sono finita troppo in basso per vedere la luce.
Sbaglio io a credere che i loro gesti siano inutili, superflui, anche se per molti sono essenziali.

Ma ormai è troppo tardi e io ci sono cresciuta nei miei sbagli, ho imparato a vivere con le mie convinzioni e le mie paure che mi hanno solo aiutata a dimenticare l'umanità che c'è in me.


«Neal!» lo richiamo prima che si allontani.

«Prima hai menzionato una perla. Perché la state cercando?»

Lancia uno sguardo fugace a Killian, che è intento a bere dalla sua disgustosa fiaschetta, per poi tornare a guardare me.

«Vieni» mi intima con un cenno del capo.

Run, Wendy || COMPLETAWhere stories live. Discover now