Capitolo 22

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Luci. Tante, troppe luci.
E poi il buio.
E poi di nuovo luci, accecanti.

Musica così alta da perforarmi i timpani e delle figure informi che si dimenano a ritmo di quella violenta melodia.

Buio

Luce

Buio

Luce

Si susseguono ad una velocità così estrema che faccio fatica a rendermi conto di dove sono realmente.

So solo che tutto sembra offuscato alla mia vista e ovattato alle mie orecchie, surreale.
Una festa, una normale festa tra adolescenti.
Questa non è l'isola, questo è il mio posto, il mio mondo.

Eppure non potrei sentirmi più fuori luogo di così.
Tra tutti questi corpi agitati io sono l'unica a rimanere immobile, sconcertata da questa normalità improvvisa.

Muovermi mi risulta più difficile del previsto. Mi sforzo smisuratamente solo per compiere qualche passo. Mi sento debole, è come se il tetto di quel luogo mi stesse pian piano schiacciando sotto di esso.
Non mi sento parte di questo, sembra tutto così distaccato dalla realtà.
Non so neanche come ci sono arrivata qui, e in questo momento non riesco a capire se l'illusione sia quella che sto vivendo o quello che ho passato negli ultimi mesi. O almeno credo che lo siano, mesi.

Ad un tratto è come se le persone attorno a me si facessero più confuse, più opache, lasciando al mio sguardo un'unica figura poco più distante.
Impiego tutte le mie forze per avvicinarmi ad essa, dovendo appoggiarmi alla parete per non rischiare di cadere. Più mi avvicino e più le mie gambe sembrano tremare e la mia testa si fa più pesante, mentre le palpebre mi implorano di chiuderle.

Ma resisto, tengo gli occhi aperti per poter mettere a fuoco quella figura.

Dei capelli neri risaltano alla mia vista e un paio di occhi color ghiaccio a me troppo familiari sembrano guardare verso la mia direzione.
Rimango immobile, incastrata nel suo sguardo e in questo momento l'unica cosa che desidero è rimanere lì.

È lui.

Sposta pian piano gli occhi da me per concentrarli su una figura indistinta che si avvicina a lui. Gli sorride, ma non il sorriso delicato e innocente che ha sempre avuto. È un sorriso spavaldo, malizioso, e quasi credo di non averlo riconosciuto davvero e di averlo scambiato per qualcun altro.
Ma il suo viso è inconfondibile.
I suoi tratti più pronunciati, i capelli più lunghi sistemati in un ciuffo disordinato, gli occhi innocenti che ora guardavano la polvere bianca poggiata sul tavolino davanti a lui come se fosse la cosa più preziosa che ha.

Ed è un attimo.
Sale nella sua narice, percorrendo le vene, il sangue e finisce nel suo cervello.
Tira la testa all'indietro, per poi riportarla in avanti, quasi come se gli pesasse, in un movimento così brusco che il suo collo sembra spezzarsi.

L'altro lo spinge amichevolmente, ridendo nel vuoto, l'aria di chi si sente in capo al mondo.

Ma lui rimane immobile a guardare davanti a se, neanche l'ombra di un sorriso sul suo volto e il triste sguardo di chi si rende conto dello schifo a cui va incontro, ma vuole rimanerci perché non ha niente da perdere, nessuno a cui dar conto.

E quello sguardo lo conosco.
Eppure vederlo su di lui mi distrugge più di quando lo vedevo su me stessa.
Mi avvicino di qualche altro passo, fino ad averlo vicino.
Tendo il braccio verso di lui, sfiorando il suo viso con i polpastrelli, ma lui non sembra prestarmi attenzione. È concentrato nel suo piccolo spazio di sicurezza, lontano da tutto e da tutti, con lo sguardo perso ma allo stesso tempo consapevole. E mi fa paura quanto io mi ci veda in lui, perché questo è tutto quello che ho cercato di evitare che gli accadesse. Non volevo che anche lui avesse la consapevolezza di quanto il mondo fosse in realtà un posto vuoto, surreale, privo di cose o persone vere.

Run, Wendy || COMPLETAWhere stories live. Discover now