𝘾𝙖𝙥𝙞𝙩𝙤𝙡𝙤 𝙑𝙄𝙄𝙄. ⚽💙

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“Ogni giorno continui
a farmi impazzire.
Come la prima volta che
per sbaglio
ho incrociato i tuoi
occhi.”





















La prima volta che mi sono sbucciata il ginocchio me la ricordo come se fosse ieri.
Era il compleanno di mia sorella Sahara, e io stavo imparando ad andare sulla bicicletta senza rotelle.
Chiesi a mia madre e a mio padre di osservarmi mentre pedalavo allegramente verso di loro.
Ero così sicura di farcela.
Volevo dimostrare loro tutta la mia grinta e la mia forza di volontà.
Purtroppo, mentre pedalavo, persi l'equilibrio e la bici cadde con me al seguito.
Scoppiai a piangere, tanto da distogliere l'attenzione di tutti da mia sorella.
I miei genitori mi dissero che non importava, e che l'importante nella vita era sempre rialzarsi.
Non importa come cadi, ma come ti rialzi.
È ciò che mi hanno insegnato loro in questi lunghi diciotto anni di vita, che però a me sembrano almeno il doppio.
Sono caduta così tante volte che ormai ho perso il conto, ma non ho mai pianto così vedendo qualcun'altro cadere.
Forse perché quel qualcuno era entrato nella mia vita così velocemente che non avevo avuto il tempo di metabolizzare quanto stesse diventando essenziale per me.
O forse perché mi sentivo come se quella partita la stessi giocando io, e non Federico assieme ai suoi compagni di squadra.
Era come se sapessi che lui, mentre la usa caviglia iniziava a sanguinare, mi stesse pensando.
Sapevo che aveva grandi prospettive per quella partita, e non averle realizzate doveva aver rappresentato una grande sconfitta per lui.
Federico provò più volte a rientrare in partita, ma la sua caviglia continuava a fargli male.
Percepii la sconfitta e la tristezza nei suoi occhi, mentre si allontanava dal campo scortato da alcuni membri dello staff italiano.
Da quel momento, non lo vidi più.
Nessuno lo inquadró più, ma in testa io avevo solo lui.
Non riuscivo a togliermi dalla mente l'immagine di Federico disteso a terra fra le lacrime, mentre il cronista annunciava la fine del suo Europeo.
Non avrei mai voluto vederlo così.
Era così bello quando sorrideva!
Adesso gli Azzurri dovevano vincere, vincere quell'Europeo e dare una vera lezione di calcio agli Inglesi.
Era ciò che si meritavano per aver fatto del male a Fede e per aver bruciato e calpestato la bandiera italiana.
Chiusi gli occhi, feci un bel respiro e cercai di non piangere più.
Decisi di scrivere a Federico quanto fosse stato bravo, e che non mi aveva delusa, anzi!
Sapevo che in quel momento ne aveva bisogno.
Più di chiunque altro in campo.
Aveva bisogno di sostegno, e io ero li' apposta.
Per sostenerlo, e per rivederlo sorridere.
Perché io avevo un disperato bisogno di vederlo sorridere, più di quanto avessi bisogno di respirare.

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FEDERICO CHIESA'S POV:

La caviglia.
Il mio punto debole.
Il mio tallone d'Achille.
L'unica cosa di cui non avevo controllo.
E gli Inglesi avevano colpito proprio lì.
Nel luogo sbagliato, nel momento sbagliato, io mi ero fatto male.
Ero caduto a terra dopo che due Inglesi mi avevano placcato violentemente.
Avevo provato a resistere e a tenere palla, ma alla fine ero caduto a terra.
Appena sentii la fitta alla caviglia, capii che quell'Europeo per me sarebbe finito.
Non era la prima volta che succedeva, di fatti mi era accaduto anche in campo con la mia Juventus svariate volte.
Ma questa era diversa.
Non ci sarebbe stata una seconda partita in cui dare il meglio di me.
Io adesso ero impotente, e l'idea di non poter più aiutare la squadra in quella pazza corsa alla Coppa mi distruggeva ancora di più.
Iniziai a piangere, mentre le mie grida disperate risuonavano in tutta Wembley.
Vidi Nicolò e il Mister scambiarsi un'occhiata colma di apprensione.
Piangevo perché per me quella era una vera sconfitta.
Piangevo perché volevo ancora aiutare la squadra.
Piangevo perché avevo deluso tutti, non facendo gol quella sera.
Piangevo perché sapevo benissimo che lei mi avrebbe guardato e sarebbe rimasta delusa dal mio atteggiamento.
Perché ero sicuro che Karen mi stesse guardando, e chissà che idea si era fatta.
Magari aveva pensato che io fossi uno stupido a piangere così.
O forse non stava neanche seguendo la partita.
In fin dei conti, cosa le sarebbe dovuto importare di uno conosciuto a malapena durante una stupida live su Instagram?
Nulla.
Assolutamente nulla.
E mio fratello Lorenzo?
Lui cosa avrebbe pensato?
E mio papà?
Gli avevo promesso che avrei provato a fare gol anche quella sera.
Quei pensieri non fecero altro che peggiorare la situazione, di fatti io continuai a piangere.
I miei compagni mi aiutarono a rialzarmi, e io uscii dal campo mentre vedevo Bernardeschi riscaldarsi, pronto ad entrare in campo al posto mio.
Rivolsi un'occhiata triste al mio compagno, e poi riprovai ad entrare in campo.
Ma non ci riuscii.
La caviglia non mi permetteva di correre come al solito.
Dunque uscii definitivamente dal campo, e abbracciai Bernardeschi.

𝙃𝙄𝙎 𝙎𝙈𝙄𝙇𝙀 || Federico Chiesa (IN REVISIONE)Où les histoires vivent. Découvrez maintenant