Capitolo 30

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Erion

Era una scena che non avrei mai e poi mai voluto vedere.

Lo avrei saputo, prima o poi, ma vederlo accadere davanti ai miei occhi fu peggio della coltellata che Tristan, quello che avevo creduto uno dei miei migliori amici, mi aveva inflitto, a tradimento, su ordine di mio padre.

Rimasi immobile, accanto al grande acero che gettava la propria ombra sul gazebo in cui si erano sistemate la Regina e le sue dame. Tutte tranne una. L'unica che vedessi, l'unica che avesse importanza e che, in quel momento, era in piedi accanto al lago, con Lord Munroe inginocchiato dinnanzi a lei con la sua mano stretta tra le proprie.

Era una proposta ufficiale. Pubblica. Non si sarebbe potuto tirare indietro neanche volendo, a quel punto.

Mi costrinsi a spostare lo sguardo dalle loro mani e mi concentrai sul volto di Ariadne, reso acceso dall'imbarazzo. Strinsi gli occhi, cercando di mettere a fuoco la sua espressione. Mi sarebbe bastata quella per capire se avrebbe accettato o meno, per capire se la proposta la rendeva felice, o meno.

Lasciala andare, Erion. Sei stato tu a deciderlo.

Scossi la testa e feci un passo avanti.

Aria stava temporeggiando, la mano sulle labbra e lo sguardo più sconvolto che entusiasta.

Di' di no, ti supplico.

Non sentii quello che gli disse, la sua voce era troppo lieve e delicata per giungere fino al punto in cui mi trovavo, ma quando vidi William Munroe alzarsi, senza tuttavia lasciarle la mano, il mio cuore ebbe uno spasmo.

Munroe si avvicinò lento e le posò un bacio sulla guancia.

Che diavolo fa?

Con un piccolo inchino, si allontanò da Aria e dalla riva, marciando tronfio lungo il prato, sotto lo sguardo adorante di tutte le dame della Regina.

Theodora era l'unica a non sembrare rapita da lui. Lei era concentrata su Ariadne, come sempre, e con tutta probabilità ne stava sondando le reazioni.

Abbandonai la mia postazione accanto all'acero e tornai verso il castello, poiché non avevo alcuna voglia di avere un vis-à-vis con quel pallone gonfiato dopo ciò che avevo visto. Soprattutto, non desideravo che lui sapesse che ero stato spettatore della sua pantomima e pensasse di avermi colpito in qualche modo, anche se era proprio ciò che era successo.

Entrai nel castello a passo di marcia, con la gola chiusa da un nodo doloroso e la voglia di infilzare la mia spada in quel maledetto dandy da quattro soldi. Dovevo calmarmi. Dovevo sfogare la mia rabbia e il mio dolore in qualche modo, prima di fare qualcosa di stupido che avrebbe compromesso tutto il lavoro diplomatico che Lachlan aveva condotto dal giorno della sua incoronazione.

Tornai in camera e lanciai la giacca sul letto, assieme alla camicia di seta. Rovistai nell'armadio, afferrai una casacca di lino e il mio gilet di pelle e presi gli stivali da combattimento, assieme alla  spada.

In un batter di ciglia ero di nuovo lungo i corridoi, al piano terra, diretto al campo di addestramento che aveva visto crescere e me, Byron e Tristen, tra risate, imprecazioni, liti e abbracci.

Sentii una fitta al petto e la ferita, ormai guarita, che avevo sull'addome, il segno tangibile del tradimento di Tristen, bruciò viva e forte come il giorno in cui lui me l'aveva inferta.

Sarei voluto tornare indietro nel tempo, a quando la mia vita non era che un susseguirsi di combattimenti sul campo e tra le lenzuola, quando non avevo responsabilità, né obblighi e non mi importava di nulla, se non di me stesso.

La Fiamma di BellarisWhere stories live. Discover now