•Epilogo III•

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Amavo il lavoro che facevo.

Tutta la vita avevo sognato di diventare un aiuto per le persone, uno psicologo, ma mi era sempre sembrato banale finché non entrai a far parte di quel centro di recupero. Lì mi sentivo importante, davo un reale sostegno a tutti coloro che stavano male e i loro progressi facevano stare bene anche me.

Prendiamo un caso come Jeremy, un ragazzino malato di anoressia che era ricoverato da noi: faceva progressi troppo lenti, un passetto al mese e se eravamo fortunati, ma pian piano l'avevamo guarito. Aveva preso peso, sorrideva più spesso e la mia speranza nella vita era aumentata.

Ma quando era arrivato Tyler tutto ciò in cui credevo vacillò.

Tyler era un ragazzino, così fragile, così piccolo, magro, biondo con occhi nocciola. Ma Tyler era anche un paziente primario di PTSD, ovvero "Disturbo Post-Traumatico Da Stress".
Ricordo ancora la prima volta che gli parlai.

Entrai nella stanza 37 e la mia attenzione si rivolse subito a un piccolo bambino biondo che si teneva a distanza di sicurezza da un'infermiera, che cercava di persuaderlo a sedersi senza successo, offrendogli succhi di frutta, latte e cioccolato e merendine...

"Buonasera.", mi schiarii un po' la gola.

Gli occhi curiosi del bimbo si posarono su di me, scrutandomi attentamente. Notando questo suo comportamento gli sorrisi e lui abbassò lo sguardo intimidito.

"Può andare, ora conosco un po' questo principe.", esclamai rivolto all'infermiera che aprì le sue labbra in un sorriso e uscì dalla stanza.

"Ciao... Come ti chiami?", gli chiesi. Lui mi guardava con prudenza, come se non sapesse se rispondere o no.

Poi sussurrò un lieve "Tyler..." e portò ancora una volta gli occhi al pavimento.

"Ma è un nome stupendo! Io sono Harry... Quanti anni hai?"

"Cinque.", soffiò mostrandomi cinque dita.

"Ah, ma allora sei ancora un principino piccolo!", esclamai, estasiato da quell'intelligenza racchiusa tra la pupilla e l'iride degli occhi di Tyler.

"Beh sì, mamma diceva che sarei cresciuto... non so se sia vero.", s'imbronciò all'improvviso.

"Anche io ero piccolo piccolo," gli spiegai, "e ora sono grande... Tua mamma ha ragione."

Utilizzai il tempo presente anche se avevo letto la sua scheda e sapevo perchè fosse lì con me.

"Mamma non c'è più.", la sua voce era piccola piccola, quasi non la sentii, "Neanche papà..."

I suoi occhi si velarono di lacrime in un secondo. Fu un'ardua impresa restare professionale e non commuovermi insieme a lui.

"Sono dovuti andare via e non possono tornare, ma ti amano ancora..."

"Io li ho visti, signor Harry... Sono morti. Erano nei sedili davanti e stavano parlando con me...", due lacrime caddero sulle sue guance silenziosamente.

"Sì, Tyler, ma quello che c'è nel cuoricino non può morire. I cuoricini di mamma e papà sono ancora vivi, ma sono volati via in un posto più bello.", era difficile mantenere la sicurezza della mia voce.

"Davvero?", sussurrò con gli occhi spalancati e mezzo sorrisino.

"Sì, tesoro. E ti proteggono sempre, lo vedo... Quando crescerai li vedrai anche tu."

Sorrise un pochino e io gli baciai i capelli profumati di frutta.

Quella sera subito ne parlai con mio marito Louis con il cuore spezzato. La mia forza psicologica era sempre restaurata grazie a lui.

† Since we were 18 † -Larry StylinsonWhere stories live. Discover now