Capitolo 3 ~ Le rovine nel deserto

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Miriam si sedette sul divano rivestito in pelle nera di fianco alla sua borsa. Era una borsa a tracolla di un colore indecifrabile, tra il marrone e il verde, che le aveva regalato Mark.

Il ragazzo era un suo compagno di scuola più grande, conosciuto quasi per caso, che tendeva a isolarsi nonostante la mole di persone che trovavano gradevole la sua compagnia e il suo aspetto fisico. Soprattutto il suo aspetto fisico. A scuola non rifiutava mai la compagnia di chiunque volesse parlare con lui e risultava un perfetto interlocutore informato su quasi ogni cosa. Non era onnisciente, semplicemente sapeva un po' di tutto per riuscire a intavolare una discussione con chiunque. Voti nella media, non interveniva mai e sembrava essere un ragazzo normale, forse un pochino perfetto ma nulla di fastidioso. Peccato che al di fuori della scuola non vedesse nessuno dei suoi compagni. Nessuno tranne Miriam ma loro non si erano conosciuti a scuola, anzi, se non si fossero incontrati fuori sarebbero stati ignari l'uno dell'altra. E così Miriam alternava le uscite con le amiche e le "uscite" con Mark, che spesso risultavano essere visite a casa sua a guardare film o a guardare lui giocare, mentre lei leggeva.

Quella borsa ricordava a Mark quelle usate nei videogiochi o nelle rievocazioni medioevali e alla ragazza quello stile non dispiaceva. Guardò l'interno della borsa per qualche secondo poi si decise a rovesciarne il contenuto sul divano per poi rimettere i suoi effetti personali piano piano in ordine. Afferrò il portafoglio e lo ributtò dentro malamente, se si trovava davvero lontano da casa, in un altro mondo, allora erano inutili sia i soldi che i vari documenti e tessere che conteneva. Prese il suo cellulare e lo fissò. Lo schermo nero da poco più di 4″ era totalmente inutile dato che la batteria doveva essersi scaricata da un pezzo ormai, se davvero aveva dormito per tre giorni... era già a metà quando era al bar, probabilmente era spento da almeno due giorni. Lo rimise in una tasca laterale, chissà che non trovasse il modo per ricaricarlo, in fondo quel posto era così strano... a lei serviva il cellulare, era il suo diario, il suo blocco per gli appunti e non era raro vederla scriverci su. La sua mano si appoggiò su una piccola scatoletta in plastica, il suo regalo di Natale per Mark. Aveva chiesto aiuto al negoziante cercando un gioco che non avesse già, che costasse poco (andava alle superiori, non poteva spendere chissà quanto) e che potesse piacergli. Così dopo giorni passati a frugare in casa e a segnarsi mentalmente i titoli, aveva optato per quel gioco: Dungeon Maker. A dirla tua ispirava anche lei ma non possedeva la console quindi probabilmente se la sarebbe fatta prestare da Mark. Rimise anche quello in borsa, insieme a una serie di oggetti per la cura personale a cui non poteva rinunciare e una piccola busta viola in particolare le fece sperare di tornare a casa il prima possibile tra i confort del suo mondo.

Rimise a posto anche le collane che aveva preso per le sue amiche senza neanche aprirle. Per ultimo lasciò un quaderno tutto rovinato con una penna che prese in mano poco prima di alzarsi dal divano e andare al tavolo per poter scrivere comodamente cosa fosse successo. Niente di particolareggiato, semplicemente voleva tener conto dei giorni, dei nomi e di cosa le era stato detto, soprattutto che Stein avesse lavorato per questo "Ordine Oscuro". Finito, si rialzò in piedi, prese la borsa, ci rimise il quaderno e si guardò intorno. Vide una porta davanti a sé e iniziò a camminare verso di essa con fare sicuro, tenendo stretta la borsa, come per darsi coraggio. L'aprì e davanti ne vide un'altra, senza neanche guardarsi attorno, spalancò anche quella e ciò che stava cercando finalmente le si mostrò.

L'aria calda la prese di sorpresa, non si aspettava tutta quell'afa e quella luce accecante. Appena i suoi occhi si abituarono, attorno a lei vide i resti di un antico mondo, le colonne e i muri di qualche antico palazzo si ergevano dalla terra come antiche memorie che imperterrite si innalzavano gridando al cielo che loro ancora esistevano, che ancora non si erano arrese, per raccontare la storia di coloro che le avevano costruite e di coloro che li hanno succeduti.

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