Capitolo 11 ~ La pioggia che cade (terza parte)

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Prima che il sole tramontasse erano tutti tornati al tempio. Quella breve pausa aveva aiutato tutti, specie Eoin che tornò in biblioteca. Il ragazzo riprese l'ultimo tomo che aveva consultato e lo riaprì, rileggendo per l'ennesima volta la storiella degli dei.

Si narrava che secoli prima della nascita della loro civiltà, gli dei fossero in guerra tra di loro divisi in due fazioni: chi voleva la morte degli umani, malvagi ed egoisti, e chi voleva proteggerli, vedendo in loro la bontà e il disinteresse presenti in alcuni loro atti. Le rovine presenti in tutta Atlad non sarebbero altro che i resti della civiltà divina. Aveva studiato a fondo quelle storie senza venire a capo di nulla ma ora forse aveva capito perché. Sapeva che demoni ed elfi erano modifiche che la magia attuava nel corpo degli incantatori e sapeva anche che le tribù costituite solo da elfi o demoni erano rare ma ancor più rari erano gli invocatori, loro erano fortunati ad averne due. Allora perché nelle storie non si accennava a queste altre due razze? Che i racconti fossero incompleti? Eoin guardò il cellulare di Mark che aveva modificato per farlo funzionare con i cristalli. Non lo aveva ancora restituito e non aveva intenzione di farlo, non ancora almeno. Era certo che o l'Ordine o Aliat avessero fatto qualcosa a quell'oggetto e lui voleva scoprire cosa.

***

Stein trovò Soraya intenta a trapiantare dei fiori nel giardino sul retro del tempio, prima degli edifici che aveva dato loro affinché li usassero come alloggi.

«Dobbiamo parlare» disse l'uomo con tono parecchio irritato e duro.

«Soraya, che cosa può aver fatto un bambino per meritarsi il collare rosso?»

La donna, sporca di terra, abbassò la mano con gesto violento facendo sbattere la paletta contro il muretto dell'aiuola e sbuffò.

«Quale bambino?»

«Ci hai mandati in quel negozio, a prendere le tue tempere, quelle che arriveranno domani. C'era un bambino, trattato male e...»

«Non è un bambino»

«Come?»

«Non - è - un - bambino»

Soraya scandì le parole una a una e poi continuò: «Non cresce ma questo non vuol dire che sia un bambino, ha quasi trent'anni in realtà. Ha una malattia genetica che gli impedisce di crescere e questo intacca anche la sua psiche. Sei sicuro di voler sapere che ha fatto?»

Il silenzio di Stein a una domanda retorica aveva sempre lo stesso significato: vai avanti.

***

Mark era disteso sul letto con la console accesa. Miriam gliela ricaricava ogni giorno e di solito giocavano insieme decidendo insieme come proseguire ma in quel momento lei dormiva beatamente girata su un lato. Sentì qualcuno bussare delicatamente alla porta. Chiuse delicatamente il DS e lo appoggiò sul comodino di fianco al letto prima di alzarsi per andare ad aprire. Non rispose per non disturbare Miriam e si rivestì più in fretta che poté mentre si dirigeva verso la porta che aprì quel tanto per poter uscire dalla stanza dove Stein attendeva appoggiato al muro.

«È quasi pronta la cena. Comunque a quanto pare quel ragazzino... non è un ragazzino. Soraya dice che ha quasi trent'anni ed è pericoloso, non avvicinarti. Quel collare gli impedisce di attaccare gli abitanti e noi tecnicamente non lo siamo»

«Ti fidi di lei?» chiese Mark comprendo con la mano uno sbadiglio.

«Conosco Soraya da tempo, so come si comporta quando deve indagare e punire... non ho motivo di credere qualcosa di diverso da quello che dice»

«Vado a svegliare...» Mark scosse la testa e si coprì le orecchie come se avesse sentito qualcosa di fastidioso.

Nello stesso momento sentirono Miriam urlare e dire: «Che cavolo è?»

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