Capitolo 9 ~ Casa (prima parte)

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«Ciao!» 

Miriam guardò la ragazza sorridente che aveva davanti chiedendosi chi fosse e dove l'avesse già vista. 

«Ciao» rispose titubante al saluto. 

«Io sono Stefania! Torni sempre da sola a casa? Sai che facciamo la stessa strada?»

Una ragazza le stava parlando di sua iniziativa? 

«Davvero?» 

«Sì, per due minuti in realtà. Io abito lí! » E indicò un condominio lì vicino. 

«Ci prendiamo un gelato?»

E, un anno dopo, arrivò anche Enrica. Le uniche che alla risposta: «No, non posso. Ho lo psicologo» dicevano: «Se decide che sei da rinchiudere pianifichiamo un incidente, ok?»

Incidente che avevano pianificato e studiato davvero nei particolari, tanto che temeva potesse funzionare davvero.

Miriam aprì gli occhi e guardò Mark disteso sul letto. Le si strinse il cuore ripensando alle sue urla. Tutte quelle persone nella stanza erano morte in quel modo? Perché non ci aveva pensato prima? Lei stessa aveva rischiato di finire così. E Aliat? Era scappato e basta? Perché? Le troppe domande senza risposte trovavano un equilibrio nel dolore profondo che provava in modo da non farla sprofondare in uno stato catatonico. O almeno così pensava. Del resto neanche Mike e la sua squadra ne erano usciti indenni: avevano combattuto fuori per evitare che tutto l'esercito si riversasse dentro la base ma c'era qualcosa in tutto ciò che non andava, qualcosa che Miriam non capiva, che non tornava ma non riusciva a cogliere cosa.

Sentì la porta richiudersi dietro di sè: un ragazzo basso, dai capelli neri e gli occhi viola che doveva rispondere al nome di Eoin si sedette di fianco a Miriam. La ragazza faticava a collegare ciò che aveva visto nella base con quel ragazzo mingherlino. Aveva davvero ucciso quella donna a sangue freddo?

«Io e te siamo simili» disse il ragazzo con la solita calma che lo contraddistingueva.

Istintivamente la ragazza controllò se il ragazzo fosse armato ma si sentì subito in colpa per averlo pensato quando vide la tristezza nei suoi occhi.

«Vuoi parlarne qui?»

«Non mi importa se mi sente»

La ragazza annuì e torno a guardare Mark.

«L'ordine distrusse la mia tribù e quella di Frey circa 10 anni fa. Vivevamo a est, dove il deserto si fa più rado e c'è qualche bosco. Ci spostavamo avanti e indietro ogni due anni circa, io vidi solamente uno di questi viaggi. Alcuni di noi venivano educati alla caccia e al relativo trattamento delle carni, per poi forse essere associati ad altri lavori come gli artigiani o gli ingegneri. Ma non è facile capirlo da piccoli, così si parte quasi sempre dalla cucina. Frey non sopportava quelle cose, almeno mi ha detto, e ha imparato a ricamare. Io, al contrario, ho iniziato a maneggiare i coltelli da subito. Volevo vedere come funzionavano le cose ma non  ho mai toccato un animale che conoscessi di persona. Potevo aiutare a squartare un animale con gli scuoiatori ma non alzare un dito su chi conoscessi. Tu sei così, l'ho visto. Ti sei accanita sull'uomo quando hai capito fosse pericoloso ma non hai sentito assolutamente nulla, niente dolore, niente rimorso»

«Intendi dire che sono un mostro?»

«No. Un mostro lo fa per piacere. Per vendetta. Tu lo hai fatto per atterrarlo o ti saresti accanita prima su Aliat a prescindere da quello che hai visto, che poi tra l'altro quello è scomparso»

«Come conoscevi quel posto?»

«Mio fratello è stato ucciso dall'ordine. Mia sorella é morta mentre la violentavano dei suoi mercenari, anche se all'epoca non sapevo esattamente cosa stesse succedendo. Quando vidi il seviziatore presi il coltello e lo uccisi. Li uccisi tutti.»

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