Capitolo 8 ~ Il baratro sotto di me (prima parte)

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Guardò il baratro sotto di lei. Oddio, baratro. Ci saranno stati sì e no cinque o sei metri prima dell'asfalto ma se si fosse buttata di testa il risultato sarebbe stato lo stesso, almeno credeva. Si sarebbe fatta molto male o sarebbe morta, chissà. Si sporse tenendo le mani sulla ringhiera.

«Brutta notte per morire. Non si vedono neanche le stelle.»

«Vero, ma io non voglio morire.»

«Non mi pare.»

Non stava mentendo: non voleva buttarsi, solo guardare giù senza la ringhiera.

Il ragazzo di fianco a lei la osservava appoggiato al lato sicuro della ringhiera che proteggeva le persone che aspettavano il treno. La stazione era situata sopra un piccolo ponte  che sovrastava la strada affollata durante gli orari di punta, ora completamente vuota.

Il ragazzo era decisamente bello ma per Miriam, in quel preciso momento, era solo un fastidio.

«Voglio sentire quel brivido che si ha guardando il vuoto.»

«Si chiama vertigine.»

La ragazza saltò sul lato sicuro e lo guardò.

«Si può sapere che vuoi? Che ci fai a quest'ora qui?»

«Semplice. Ho visto una pazzoide che all'una di notte stava per buttarsi giù. Io abito lì.» Indicò un palazzo li vicino.

«Pazzoide?»

«Sì. E ora che so che è la stessa che ha fatto rissa con quello di quinta e ne è uscita indenne...»

«Indenne no...  Ha tirato fuori un coltello..» disse mostrano una benda sul braccio.

«Le voci girano male.»  disse il ragazzo porgendo una mano.

«Mark.» 

«Miriam. Davvero a quindici anni offri la mano per presentarti?» disse guardando la mano del ragazzo con aria dubbiosa.

«E perché no? Diciassette comunque.» 

Miriam l'afferrò ridacchiando. 

«Perché no?»

 Miriam aprì gli occhi. Un odore sgradevole velocizzò la sua presa di coscienza, alzandosi a sedere su un giaciglio rovinato e puzzolente.

«'giorno»

Miriam stava perdendo la pazienza, iniziava ad associare quella parola a qualcosa di fastidioso.

Poi vide Mark che la salutava.

«Scusa. Avrei voluto starti vicina ma...» agitò  una mano per mostrare le catene che lo tenevano legato al muro. Istintivamente si guardò i polsi e scoprì che anche lei era legata al muro da pesanti catene. Provò subito a usare la sua magia. Non le era chiaro come il metallo avesse potuto reagire all'elettricità magica ma ci provò, fallendo. Le sue mani crearono i lampi ma vennero subito assorbiti dai bracciali e dal collare che aveva al collo.

«Wow. Quello cos'era?»

«Magia. A quanto pare dovrei essere in grado di usarla ma più che caricare il cellulare a quanto pare non faccio...»

Miriam guardò la cella. Un enorme stanza a cui nessuno si era preoccupato di dare una mano di intonaco o di renderla in qualche modo gradevole alla vista: era strapiena di buchi e sporgenze. La ragazza iniziò a guardare il muro e a vedere se poteva in qualche modo fare qualcosa, magari staccare le catene.

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