1. Rattoppare

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Era passato un anno e ancora non avevo capito come diamine si mettesse la matita senza accecarti e imprecare contro tutti i santi. Sventolai una mano davanti all'occhio, nella speranza che non avessi perso la vista, e quando rimisi a fuoco la mia figura incazzata allo specchio, ringraziai quegli stessi santi per aver donato tanta bellezza a un tipo come me. Certo, potevano evitare di farmi diventare l'occhio rosso.

«Accecami anche l'altro e giuro che ti tempero fino alla radice» minacciai lo strumento del male stretto tra pollice e indice, quindi mi piegai di nuovo sopra al lavandino per avvicinarmi il più possibile allo specchio e completare l'operazione trucco.

Trucco, insomma... la matita nera sulla rima inferiore e basta. Non ero un grande fan dei cosmetici. Fino all'anno precedente nessuno avrebbe mai detto che ne avrei usato uno, primo tra tutti io stesso, ma il cambiamento faceva parte della vita. Qualsiasi tipo di cambiamento, anche quello che ti lacerava il cuore. Dovevi soltanto capirlo e trovare il modo di rattoppare ogni parte di te. Purtroppo, io lo avevo capito un paio di anni prima, e la matita era stata la mia toppa.

Un pezzo di toppa, almeno.

Ultimato il lavoro, sorrisi allo specchio. Ero proprio fico, gli occhi già scuri diventavano fondenti con quella sottile linea nera. Mentre riflettevo se radermi o meno il filo di barba che era ricresciuto sulle guance, squillò il cellulare.

«Ciao, mamma» risposi mettendo il vivavoce.

«Warren, dove sei?»

«In bagno?»

Mia madre sbuffò. «Dovevi essere qui dieci minuti fa.»

«Oh, che peccato!» esclamai fintamente dispiaciuto. Non avevo voglia di andare a trovare gli zii, ma mia madre mi aveva obbligato dopo aver declinato gentilmente l'offerta per quattro settimane di fila. «Quindi non ho il tempo di mettermi lo smalto?»

«Farò finta di non averti sentito.»

Feci una risatina silenziosa. Aprii uno dei cassettini e presi il primo elastico che mi capitò sottomano. Era da parecchio che non tagliavo i capelli, ormai li tenevo quasi sempre raccolti in un mezzo codino e ciò contribuiva al mio look da rockstar... o da barbone con stile.

«Sto uscendo adesso» la rassicurai.

«Dal bagno o di casa?»

Ridacchiai di nuovo. «A fra poco.»

Misi giù la chiamata senza darle il tempo di rispondere. Infilai giubbotto e scarpe, recuperai il pacchetto di sigarette sul divano e, pregando gli stessi santi di poco prima, fui fuori dal mio appartamento anche sei avrei preferito passare il resto della giornata in panciolle davanti alla televisione.




Accompagnai il cancelletto fino alla chiusura. Da quando ero andato a vivere da solo, sette mesi prima, ero diventato attento a cose a cui prima nemmeno facevo caso; una di queste era evitare che uno sconosciuto potesse entrare nel condominio. Ci mancava essere derubato di quel poco che possedevo: playstation, computer e cellulare. E le mie sigarette, ovviamente. Mi sentivo uno scemo ogni volta? Assolutamente sì. Me ne importava qualcosa? Assolutamente no.

Mia la casa, mia le regole.

Avevo sempre dovuto sottostare a quelle dittatoriali di mia madre – se mi avesse sentito, mi avrebbe messo in punizione seduta stante –; era arrivato il momento di vivere a modo mio. Anche se i modi non erano sempre dei più razionali. E anche se la casa non era davvero tutta mia. Mi aiutavano con l'affitto gli alimenti che mio padre era obbligato a versare a mia madre e le ripetizioni che facevo alle matricole universitarie.

Come Toccare un FioreWhere stories live. Discover now