20. Notte

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Jen non aveva ancora aperto bocca se non per rilasciare piccoli singhiozzi. Stava sorseggiando il tè che le avevo preparato, il mascara che le era colato sul viso ormai giaceva nei dischetti di cotone con cui si era data una ripulita.

Era la prima volta che la vedevo senza trucco. Era graziosa e i tratti del suo viso aggraziati; non c'era molta differenza rispetto a quando era truccata, a dire il vero. Chissà perché credessi che invece fosse il trucco a fare la differenza. Più la guardavo e più pensavo a quanto fossi stato cretino a scambiarla per un ragazzo, anche se era un pensiero stupido. Aveva di certo dei connotati androgini, tuttavia mi chiesi se fosse dovuto a una possibile cura ormonale che stava seguendo o se ci fosse nata, così.

C'erano infinite cose che non sapevo di Jen. Quella che più mi premeva scoprire in quel momento, però, era il perché della sua irruzione notturna.

«Capisco se non vuoi dirmi cos'è successo, ma dimmi almeno se devo preoccuparmi.»

«Tranquillo, non devi preoccuparti per me.»

«Disse colei che è venuta a chiedere asilo politico a me tra tutti.»

Avrebbe dovuto essere una battuta, invece ottenni qualche altra lacrima e un'espressione sorpresa. Non in positivo.

«Stavo scherzando» la rassicurai. «Era per spezzare la tensione.»

«Scusa.» Si passò una mano sugli occhi. «Sono molto stanca.»

Mugugnai. «Devo avvisare Austin che sei qui?»

«No!» scattò con così tanto fervore che il cuore mi finì dritto in gola.

«Okay, no.»

Sospirai. Che avessero litigato era già nell'aria, ma adesso era più che palese. E doveva essere stato un litigio violento. Forse aveva a che fare con la cena dai genitori di Austin. Quando si metteva in mezzo la famiglia, le cose erano sempre più delicate.

«Vado a prenderti qualcosa per la notte.»

Jen si era presentata con quel vestito giallo di cui aveva parlato Austin. Aveva dei volant laterali sulla gonna a tubino e anche su una delle spalle, una falsa cintura le tagliava il busto appena al di sotto del petto. Era un abito elegante, più per la mezza stagione che per l'inverno, ed era vero: le stava benissimo. Le dava risalto agli occhi, sembrava un enorme girasole. Peccato per la pioggia che scrosciava sopra e dentro di lei.

Le strinsi affettuosamente una mano, poi sparii in camera alla ricerca di qualcosa che potesse andarle bene. Mi resi conto troppo tardi di non avere nulla per lei. Avevo solo vestiti per me, da maschio. Scelsi una maglietta neutrale, grigia, una di quelle che mi stavano larghe, perciò pensai potesse farle da veste. Presi anche dei pantaloni di cotone. Santo cielo, era un accostamento terribile. Per sicurezza presi anche un pigiama, e tornai in soggiorno.

Jen fissava l'interno della tazza. Un fantasma di se stessa. E io stavo per renderla ancora più trasparente con i miei cavolo di vestiti.

Bene così.

«Non ho trovato di meglio» dissi.

Jen sollevò lo sguardo. Esaminò rapidamente ciò che reggevo tra le mani e scrollò la testa. «Vanno più che bene.»

«Se vuoi andare a cambiarti...» Lasciai i vestiti sulla sponda del divano, poi mi grattai la nuca. «O se ti serve altro, dimmi pure.»

Jen si tolse gli stivaletti con il tacco – che grande forza di volontà ad averli ancora indosso –, li mollò accanto alla gamba del tavolo e mi raggiunse con passi flemmatici, strascicati. Raccolse i vestiti, poi si ritirò in bagno senza aggiungere mezza parola.

Come Toccare un FioreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora