21. No

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Miracolo.

Ero riuscito ad addormentarmi.

Peccato che ormai la notte fosse andata a farsi benedire e in un battibaleno fosse già mattina. Certo, sarei potuto rimanere a letto fino al pomeriggio, ma la presenza di Jen non me lo aveva permesso. Troppe ansie, troppo senso di colpa, troppo stomaco sottosopra. Così eravamo finiti in cucina, davanti a due caffè e dei biscotti, con il sonno che ci appesantiva gli occhi e ci rendeva complicato parlare. Non ce ne fu bisogno, facemmo colazione in silenzio, intontiti, schiavi dei nostri pensieri. Quelli di Jen sembravano essere tornati con prepotenza, quasi come se al buio avesse potuto metterli da parte ma con il sole fosse obbligata ad affrontarli.

Per me funzionava al contrario. Il buio aveva riportato a galla le mie fragilità e il sole mi aveva ricordato che gli strappi erano fatti per essere riparati.

Avevo però una domanda che mi tormentava.

Quante altre ferite mi avrebbe riaperto Jen?

Facevo bene a esserle amico, o rimanere al suo fianco mi avrebbe lacerato fino a non lasciare più niente del nuovo Warren? Fino a tornare al ragazzo distrutto, disperato. Il ragazzo che non capiva e mai avrebbe accettato di capire.

L'unica cosa che avevo capito, quella notte, era che la solitudine non mi piaceva.

La suoneria del mio cellulare mi fece quasi rovesciare il caffè. Guardai di sbieco lo schermo, ma non fu il nome che lampeggiava a stranirmi.

Fu la reazione di Jen.

Le dita le tremavano così tanto che dovette posare la tazzina sul tavolo, il cucchiaino fece plop quando lo lasciò cadere al suo interno. Gli occhi erano stralunati. Il respiro accelerato, sofferente.

Quella non era la reazione di una ragazza che aveva litigato con il suo ragazzo.

Quella era la reazione di chi ne era terrorizzata.

Il presentimento che mi aveva tartassato fino a qualche settimana prima tornò a fischiarmi nelle orecchie. Non poteva essere così, vero? Austin amava Jen. Non solo me lo aveva detto, ma ne ero stato spettatore. Lo avevo visto guardarla con occhi languidi, abbracciarla, dirle romanticherie.

Lo avevo visto anche litigarci.

Avevo visto Jen pietrificarsi in sua presenza, anche se la presenza era soltanto nei discorsi, l'avevo vista ubbidire a testa bassa, seppure per piccolezze come indossare un vestito che piaceva a lui.

Cos'altro?

Cercai indizi nei ricordi, ma il cellulare ancora squillava e mi distraeva. Lo presi, Jen incrociò il mio sguardo e scosse appena la testa.

«Ohi» risposi, senza staccare gli occhi da lei. I suoi erano diventati lucidi, le labbra tremavano.

«Ohi» mi salutò Austin imitandomi, «ti ho svegliato?»

«Più o meno.»

«Ops, scusa.» Rise.

Inghiottii il turbamento mentre cercavo in Jen un segnale, uno qualsiasi che potesse confermarmi se potessi scherzare con Austin, parlarci come avevo fatto fino allo scorso pomeriggio.

«Naa, ero sveglio. Dimmi tutto.»

«Per caso Jen è da te?»

E adesso?

Jen muoveva ancora la testa in brevi scatti, a destra e a sinistra, i suoi occhi dicevano: «No, no, no. Ti prego, no.»

Allora lo dissi anche io. «No.» Poi mi resi conto che non era una risposta sufficiente. «Doveva venire qui?»

Come Toccare un FioreWhere stories live. Discover now