5. Botanica

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«A differenza di ciò che potrete pensare, le piante carnivore – notizia straordinaria! – non si nutrono di carne. Soltanto di insetti e artropodi.»

Alcune matricole sorrisero alla battuta, altre sembravano concentrate a trattenere tutte le informazioni nel cervello, altre ancora avrebbero voluto essere lontane mille miglia da lì; eppure i laboratori erano la parte più divertente e interessante dell'università. Certo, quello più che un laboratorio era una lezione speciale, nel giardino botanico dell'ateneo. Era comunque un modo alternativo per passare la mattina all'aria aperta, circondati da piante e fiori di ogni tipo, piuttosto che rimanere chiusi in aula a prendere appunti.

E io facevo da guida, per così dire.

A inizio anno, in previsione della laurea, avevo cominciato un tirocinio per il professor Turner, l'insegnante di botanica. Mi occupavo principalmente della serra, della cura delle piante e di analisi, ma nell'ultimo periodo il professore mi aveva chiesto di partecipare ai laboratori del primo anno, un compito che di solito spettava agli assistenti. Una responsabilità bella grossa, c'era il futuro delle nuove generazioni nelle mie mani. C'erano ragazzi che speravano che quello che dicevo non finisse nel prossimo esame, o che fossi abbastanza comprensivo da non arrabbiarmi se sbagliavano qualcosa o combinavano un casino in laboratorio. Ero, in un certo senso, il loro mentore per qualche ora, la persona incaricata a insegnare loro a mettere in pratica ciò che avevano studiato.

Una responsabilità bella grossa, appunto.

Non avrei mai detto che mi sarebbe piaciuto così tanto, ma forse il fatto che lo facessi nel campo che più preferivo – la botanica – mi dava la spinta necessaria per impegnarmi. E persino senza troppo sforzo.

A essere onesti, ero soltanto l'assistente dell'assistente, i miei erano brevi interventi, ma la responsabilità era comunque mia e l'orgoglio sempre mio.

«Altra notizia straordinaria, anche il termine "mangiare" non è esattamente corretto. Più che altro ricavano i nutrienti di cui hanno bisogno, come azoto e fosforo, dato che non sono in grado di nutrirsi, attraverso la fotosintesi clorofilliana.»

Notai lo sguardo ricco di apprezzamento con cui mi stava osservando una delle ragazze. Non potevo darle torto, sapevo di essere bello e di piacere. Ero io quello che faceva colpo, quando uscivo con Marcus e Tim. Anche lei non era male. I lunghi capelli castani erano raccolti in una coda di cavallo che lasciava scoperti i lineamenti marcati del suo viso. Zigomi alti, mento spigoloso, naso stranamente morbido nel mezzo di tutte quelle linee dritte. Professore – assistente dell'assistente, per la precisione – e alunna... non sarebbe stato moralmente corretto. Ma non c'era da preoccuparsi. Non avevo idea di quanto tempo mi ci sarebbe ancora voluto, ma era da... da quando era successo quello che non avevo una storia, nemmeno una sveltina; nemmeno un bacio.

Non potevo.

Non sarebbe stato corretto.

O forse ero soltanto scemo.

Amavo ancora Rory. Più di chiunque altro, più della mia stessa vita. Sarebbe stato impossibile il contrario, la nostra storia non era finita perché ci eravamo lasciati ma perché me lo avevano portato via.

Non lo avevo protetto come mi ero ripromesso.

E sebbene se il dottor Robertson mi avesse fatto capire che non avevo colpe, io in colpa mi ci sentivo lo stesso. Solo un po', solo quando avevo i miei momenti no. Come quello in cui ero caduto da una manciata di giorni. Mi sentivo meglio quel lunedì, però, dopo aver passato la domenica insieme a Kevin e Trey, appestando il loro appartamento con il mio malumore e la mia debolezza. Non avevo avuto voglia di tornare a casa mia, in parte intimorito dal fatto che avrei potuto incrociare nuovamente quel ragazzo da cui era iniziato tutto e avere una seconda ricaduta. Alzarsi una volta era facile, ma due di seguito?

Come Toccare un FioreWhere stories live. Discover now