4. Perline

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Stavo fissando Rory, inglobato dai vestiti nel suo armadio, da almeno una decina di minuti. Sapevo che ce ne sarebbero voluti altrettanti prima che decidesse cosa indossare.

Una tortura.

Non poteva mettere, che so... una cosa qualsiasi? No, lui doveva abbinare colori, stoffe e umore. Considerando che il suo armadio somigliava a quello di arlecchino – ma più femminile e scosciato – mi chiedevo se ne sarei uscito vivo.

«Secondo te quale ci sta meglio con i jeans con le perline?» Si girò verso di me ma il suo sguardo era rivolto ai due maglioncini che reggeva, uno rosso con un enorme cuore bianco proprio al centro, peloso, e uno di tutte le sfumature dal rosa candido al fucsia.

Mi pizzicai la barba. «Davvero lo stai chiedendo a me?»

«Potresti collaborare, ogni tanto.»

Sbuffai dal naso e accavallai la gamba sinistra sul ginocchio destro, puntellando entrambi i palmi sul materasso, dietro di me. Se avesse fatto uno spogliarello per ogni prova abito, allora sì che gli avrei dato volentieri una mano.

La cosa preoccupante, però, era che sapessi quali fossero i jeans con le perline.

Mi diede nuovamente le spalle e io non potei evitare che lo sguardo mi cadesse sul suo sedere fasciato da dei pantaloni azzurri, ovviamente super attillati. Spostai gli occhi sulla sua schiena longilinea, sulla treccina che gli ricadeva sulla spalla sinistra, sulle sfumature aranciate e rosate dei suoi capelli e ancora sul sedere.

«Che ne dici di spogliarti e basta?»

Rory mi guardò da sopra la spalla, un'espressione al contempo sbarazzina e lasciva rendeva il suo viso una calamita al quale mi sarei appiccicato volentieri. Fino alla mattina successiva, fino a quando non avrebbero dovuto intervenire le autorità per staccarmi da lui o inventare una formula chimica che mi rendesse immune al suo fascino.

Cristo, cosa aveva innescato in me?

Il sentimento più bello della mia intera vita.

Mi strappò un bacio, ma durò troppo poco e io ne volevo ancora. Gli circondai una guancia e lo obbligai a riabbassarsi sulla mia bocca. Non c'era traccia di lampone sulle sue labbra né di trucco sul suo viso, era uscito dalla doccia poco prima.

Mi piaceva così, in un certo senso messo a nudo, lui che senza trucco non usciva di casa. Ero uno dei pochi che aveva il privilegio di vederlo in ogni sua forma, in ogni sua essenza. Perché il vero Rory non era soltanto quello pieno di glitter che faceva del mondo la sua passerella, ma anche quello pieno di cicatrici che si rannicchiava in un angolo tra le pareti rosa della sua camera, intrappolato in un passato che gli aveva strappato la carne di dosso sperando che sotto ci fosse una persona che, ovviamente, non esisteva.

Anche se quel passato non lo conoscevo ancora del tutto, non avrei più permesso che qualcuno gli facesse del male.

«Quello rosa» gli soffiai sulle labbra.

Rory mi sorrise e annuì, sfregando i nostri nasi in una coccola decisamente più dolce rispetto all'ultimo bacio che reclamai prima di lasciarlo andare.

Appese i vestiti scelti all'antina dell'armadio, li accarezzò, quindi raggiunse il comodino accanto al letto. «E adesso i trucchi» disse aprendo il primo cassetto.

«Che qualcuno mi salvi» feci finta di pregare, le mani unite e gli occhi al soffitto.

Rory ridacchiò; il beauty-case che aveva tirato fuori gridava che qualcuno lo aprisse prima di scoppiare.

«No, davvero.» Mi voltai quel tanto che bastava affinché potessi guardarlo in faccia. «Mia madre ti ha solo invitato a cena da noi, come mille altre volte nell'ultimo anno.»

Come Toccare un FioreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora