6. Sovrapporsi

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Non vedevo l'ora di buttarmi sotto le coperte, per fortuna mancava poco a raggiungere casa. Quella sera ero andato a cena da mamma. Avevo bisogno di non rimanere solo, di non rinchiudermi nei pensieri. Potevano essere distruttivi. Mentre mi strafogavo di pollo, tuttavia, mi ero reso conto di essermi davvero rialzato e che potevo dormire sonni tranquilli.

Ebbi culo pure con il parcheggio, trovando un buco proprio di fronte al mio condominio. Accesi una sigaretta prima di uscire dall'auto, perfetta per conciliare il sonno e annebbiarmi un po' la mente, quindi uscii sbattendo la portiera.

«Io decido se va bene oppure no.»

«Perché fai così?»

«Così come, sentiamo.»

La mia attenzione venne catturata da delle grida qualche metro più in là. Facendo il finto tonto, infilai le mani in tasca mentre consumavo la sigaretta, pronto ad andarmene alla svelta da lì. Avevo imparato che impicciarsi degli affari degli altri non era mai una buona idea, ti coinvolgeva in modi imprevedibili.

«È questo che pensi di chi ti ha portato via da quell'inferno?»

Le orecchie, però, sembravano non volermi dare ascolto. Piuttosto, erano più propense a dare ascolto a quei due nascosti tra le auto.

«Vai, tornaci pure. A quanto pare ti piace sentirti dare del mostro.»

Mi fermai di colpo.

Non seppi con precisione perché le mie gambe avessero cambiato rotta, o perché la sigaretta fosse finita sull'asfalto nonostante fosse appena a metà, ma nel giro di pochi passi rapidi e pesanti fui dietro ai due.

«C'è qualche problema?»

Potevo sentire i muscoli tirati del mio viso in quella che doveva essere un'espressione incazzata, la mascella rigida, gli occhi assottigliati. Il ragazzo che aveva urlato fin allora mi inquadrò con uno sguardo altrettanto furioso.

Quando la persona che mi dava le spalle si voltò, però, non solo la mia faccia diventò di gelatina. L'intero corpo si squagliò, un debole tremore mi colpì alle dita ancora in tasca.

È lui.

Il ragazzo che somiglia a...

Socchiusi le labbra, intontito.

«Nessun problema. Scusa, non volevamo disturbare l'intero vicinato con il nostro litigio» disse proprio lui, ma io faticavo sia a capire il significato delle parole sia ad attribuire loro uno stato d'animo. Il sorriso che mi stava rivolgendo era sincero o di facciata? I suoi occhi erano dispiaciuti o impauriti?

«Hai sentito?» chiese l'altro. Fu complicato sollevare il volto su di lui. «Non c'è nessun problema. Non hai mai visto una coppia litigare?»

Lo riabbassai sul primo ragazzo. Il trucco era privo di glitter, nessuna treccina sbucava dalla sciarpa, gli orecchini erano due perle rosa. Le labbra erano di un rosso intenso, come l'interno di una dionea. Giurai che fosse anche pericoloso, come una dionea. Se solo lo avessi sfiorato, mi avrebbe sciolto con i suoi acidi.

Ma non avevo alcun motivo per toccarlo.

«Per caso sei tu che hai un problema con noi?» insistette l'altro, stringendo la spalla del ragazzo. Un gesto protettivo, così come tante volte avevo fatto anche io con Rory, persino quando non ce n'era alcun bisogno.

A quel punto recuperai parte delle mie facoltà intellettive. «Scusatemi, non volevo interrompere il vostro... litigio.»

Mi allontanai alla velocità della luce, calpestai il mozzicone di sigaretta fatto cadere poco prima spegnendolo sotto la suola degli scarponi. In un battibaleno ero nel mio appartamento. Spalancai la finestra per evitare di svenire per via dell'aria rarefatta, anche se era tutto frutto dei miei polmoni che avevano smesso di funzionare a dovere.

Come Toccare un FioreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora