43. Crederci

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Sapevo, da quando quella mattina avevo deciso di dare rifugio a Jen, che quel momento sarebbe arrivato. Non mi aspettavo, tuttavia, che sarebbe arrivato la sera stessa, giusto qualche minuto dopo che ero rincasato. Nemmeno il tempo di digerire la cena di mia madre. O lo sguardo triste e assorto di Jen.

Austin stava salendo al mio appartamento.

Avrei dovuto affidarmi nuovamente alle mie doti attoriali per non tradire la sicurezza di Jen. Per uno scopo del genere, qualcosa mi diceva che non avrei faticato neppure troppo.

Ero pronto quando l'irruenza di Austin spalancò la porta. Ero pronto al suo sguardo da drago imbestialito. Ero pronto alle accuse e al fatto che le cose sarebbero potute precipitare velocemente.

Fatti avanti, stronzo.

«È qui?» esordì, con una violenza tale che per un momento credetti che avrebbe saltato tutte le fasi per arrivare direttamente ai pugni.

Mantenni la calma. «Chi è qui?»

Austin sembrò essere colto di sorpresa. Scattò indietro con la testa, tirò le labbra in una linea dritta, poi sputò fuori: «Jen.»

Mi guardai attorno, facendo il finto tonto. «No?» dissi arcuando un sopracciglio. «A meno che non sia entrata scassinando la porta mentre non c'ero, dato che sono tornato giusto da una decina di minuti.»

Okay, fare il divertente non stava funzionando. Austin aveva lo sguardo di chi reclamava sangue. Oh, glielo avrei fatto bere, dopo avergli spaccato i denti.

«Quindi Jen non ti ha chiamato o scritto e non si è fatta viva?»

«Ti ho detto di no.» Spalancai le braccia. «Che cazzo ti prende?»

Austin dovette aver capito che stava dando spettacolo di sé. Respirò profondamente dentro la coppa creata dalle mani prima di riprendere a parlare con un tono più civile. «Jen non è a casa.»

«Oookay... Non potrebbe essere uscita con le sue amiche?»

Ops, avevo involontariamente messo in mezzo le colleghe di Jen; ma loro non sapevano la verità, perciò non avrebbero dovuto esserci problemi.

«Non è uscita con le sue amiche. Oggi non stava bene, non è andata neanche al lavoro.»

Sgranai gli occhi. «Hai provato a chiamarla?»

«Ovvio!» esclamò. «Che razza di domanda del cazzo!»

«Ehi, stai calmo.» Misi una mano tra di noi, le dita ben aperte. Mi stava facendo incazzare. «Avete litigato di nuovo?»

Lui mi abbrustolì con lo sguardo. «Di nuovo?»

«Qualche mese fa è successa la stessa cosa. Voi che litigate, Jen che sparisce per qualche ora e tu che dai di matto.»

Austin assottigliò gli occhi.

Anche io.

«Sì, abbiamo litigato di nuovo.»

«Allora è normale che non ti risponda.»

Austin rilasciò un secondo lungo respiro. Speravo servisse a svuotarlo della sua cattiveria, anche se temevo non fosse sufficiente.

«A me no» disse, «ma potresti provare a chiamarla tu.»

Cazzo.

Se vacillai, non lo diedi a vedere, perché Austin non cambiò espressione. Io però avevo iniziato a sudare freddo.

A me Jen avrebbe risposto eccome.

«Potrei» replicai.

La frase implicava un "ma" che Austin non colse.

Come Toccare un FioreWhere stories live. Discover now