2. Inappropriato

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Non era stato sufficiente un minuto, ma il tragitto da casa di mamma a casa degli zii era riuscito a calmarmi. La voglia di piangere era passata e avevo sepolto da qualche parte della mente l'immagine sfocata di quel ragazzo. Non dovevo più pensarci, non dovevo più sbatterci la testa.

Dovevo tornare in me.

E il me che conoscevo era fatto di sarcasmo, svogliatezza e sicurezza di sé.

«Gli zii non saranno contenti.» Mia madre si slacciò la cintura di sicurezza, il trucco era di nuovo perfetto sul suo viso.

«Non mi sembra una tragedia.»

Sbuffò e fece per aprire la portiera.

«Aspetta, mi sono dimenticato una cosa.»

Recuperai il borsello sui sedili posteriori e ne tirai fuori un lucidalabbra al lampone. Non era il suo, quello era gelosamente custodito nel cassetto del comodino accanto al letto. Ne avevo già sprecato abbastanza mettendomelo ogni qualvolta avevo desiderato sentire le sue labbra sulle mie; non avevo voluto finirlo, sarebbe stato come consumare lui, l'unica cosa che mi rimaneva, di lui. Quindi ne avevo comprati altri. In quel modo potevo sempre avere lui con me senza la paura che si esaurisse tra le mie mani.

Sistemai lo specchietto retrovisore in modo da inquadrare le labbra; dopo un paio di passate divennero scintillanti e profumate.

«Lo fai apposta, Warren?»

Annusai il lucidalabbra, prima di riporlo nel borsello, il suo profumo si incastonò nei miei polmoni come quarzo in un anello.

«Per irritare gli zii» continuò mia madre.

La guardai con un ghigno. «Irritare è ciò che mi riesce meglio.»

«Mi chiedo da chi hai preso.»

Arcuai un sopracciglio. «Davvero te lo stai chiedendo?»

Eccolo lì, lo sguardo di rimprovero. Tuttavia mia madre non riuscì a ribattere. Quanto godevo del potere di non essere più sotto al suo, di potere.

«Quanto ti rode che non puoi più mettermi in punizione?» Non volevo sfidarla, non volevo essere irriverente, stavo soltanto cercando di riemergere dal baratro in cui non volevo rimanere di nuovo intrappolato.

Lei dovette percepirlo, perché sospirò e uscì dall'auto sbattendo la portiera con un «Muoviti.»

Sospirai anche io. Lanciai un'ultima occhiata allo specchietto, le labbra erano di un'intensa tonalità di rosa.

«Fatemi sopravvivere a questo supplizio» pregai verso i santi che stavo richiamando da tutto il giorno, poi sfregai le labbra tra loro affinché il sapore del lampone potesse donarmi la forza di cui avevo bisogno.




«Finalmente eccovi qui, Kimberly. Iniziavamo a darvi per dispersi.»

Zia Cora abbracciò mamma e si diedero due baci sulle guance. Era la sorella maggiore, aveva dieci anni in più e si vedeva. Se mia madre portava più che bene i suoi quarantacinque anni, zia Cora non lo faceva altrettanto con i suoi cinquantacinque, tutta pelle solcata, capelli ingrigiti e maniglie dell'amore. Non volevo essere cattivo, ero soltanto realista. Non si assomigliavano per niente e io ero contento di essere figlio della migliore tra le due. Migliore in ogni senso. Ovviamente era anche per via dei nostri screzi se faticavo a vederla con magnanimità e amore di nipote.

«Abbiamo fatto un po' tardi, colpa mia.»

Mia madre mi evitò di dare spiegazioni, la ringraziai mentalmente mentre lei salutava zio Oscar, che non si era minimamente scollato dal divano, stava guardando il calcio.

Come Toccare un FioreOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz