14. Girasole

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Ne avevo ordinati due, di caffè.

E li avevo finiti.

Oliver invece non faceva che fissare il suo, le dita intrecciate sul tavolino nell'inutile tentativo di tenerle ferme. I pollici continuavano a sfregare sulle nocche degli indici, i mignoli sfuggivano dall'intreccio.

Ebbi più volte l'impulso di pagare – per me, non gli avrei offerto nemmeno mezza bustina di zucchero – e andarmene, ma qualcosa nel suo atteggiamento mi tratteneva lì.

Mi faceva pena, dovevo ammetterlo.

La rabbia, tuttavia, era pronta a esplodere.

«Voglio...» esordì d'un tratto. Si bloccò l'istante successivo.

Borbottai un'imprecazione fra i denti, appena mormorata. Ma chi me lo faceva fare di rimanere? Stavo sprecando tempo che avrei potuto passare con i nonni.

«Voglio raccontarti tutto» sputò fuori.

«Tutto cosa?»

«Di me e mio fratello.»

Le spalle si afflosciarono, la saliva prosciugata. «Cosa ci sarebbe da raccontare?» domandai, questa volta fui io a far uscire solo un lieve sussurro.

«Tutto» ripeté lui.

Calò di nuovo il silenzio tra noi, un silenzio che nemmeno i miei pensieri furono in grado di riempire.

«Credo di non averlo mai conosciuto» cominciò a parlare Oliver. «O di non averlo mai voluto conoscere.»

Di norma, sarei scoppiato a ridere. Rory era suo fratello, come poteva non conoscerlo? Eppure aveva ragione, lui non sapeva niente di Rory, lui conosceva soltanto Gregory.

«Da piccolo nemmeno me ne rendevo conto. Sapevo che c'era qualcosa di diverso, ma non ci pensavo. A quale bambino importa o sa cosa significa essere diverso? Per un bambino è tutto nuovo, è tutto da scoprire. Per un bambino non cambia nulla.» Oliver portò la tazza alle labbra e fece una smorfia dopo aver bevuto un sorso di caffè. Doveva essere freddo, ormai. «Giocavamo spesso con i soldatini, ma lui si rifiutava di uccidere i miei o usare armi. Lui prendeva i suoi personaggini e attaccava i miei esclamando "Polvere di girasole!"» Sorrise, sembrava un sorriso sincero, malinconico. «Era fissato con i girasoli perché...»

«I vasi con i girasoli finti a casa dei nonni» dissi io per lui.

Oliver alzò gli occhi su di me per una frazione di secondo, sorpreso. Poi si rilassò. «Proprio per quello.»

Sorrisi anche io, immaginando Rory da bambino come il protagonista di qualche anime con streghette, paladine del mondo improvvisate e simili.

«Colorava sempre con le penne glitterate, voleva che tutto luccicasse, sempre e comunque.»

«Non è mai cambiato sotto questo aspetto.»

«Lo sospettavo.» Oliver si spettinò i capelli, lo sguardo di nuovo deviato da me. «Mi seguiva ovunque, mi guardava con ammirazione. Non come qualcuno che da grande vorrebbe essere come te, ma come qualcuno a cui piaci. Oddio, detta così non suona granché bene.» ridacchiò.

«Per niente.»

Alzò una seconda volta gli occhi. «Ci volevamo bene. Tanto.»

Mi morsi la lingua per non accusarlo che il bene che tanto predicava era andato a puttane da un sacco di tempo.

«Le cose sono iniziate a cambiare quando io avevo circa nove o dieci anni. Lui ne aveva sei o sette. Stavamo ancora sempre insieme, ma lui era diventato più riservato, era spesso triste. E io non capivo il perché. Mi chiedeva se i maschi potessero giocare con le bambole e io gli rispondevo che erano robe da femmina, e la cosa finiva lì. Lui mi seguiva e facevamo altro. Eppure c'era qualcosa che lo tormentava. Mamma e papà non facevano che litigare, in quel periodo.» Chiuse le palpebre, fece un respiro profondo.

Come Toccare un FioreWhere stories live. Discover now