24. Futuro

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Le temperature ancora calde di inizio settembre permettevano a me e Rory, sui sedili posteriori della mia auto, di rimanere senza felpa... e senza qualche altro vestito. Lui se ne stava seduto e io gli ero letteralmente aggrappato addosso, con il sedere in mezzo alle sue gambe e le mie distese con i piedi contro la portiera, la testa appoggiata alla sua spalla. Gli baciavo il collo, gli prendevo la collanina tra i denti e poi succhiavo la sua pelle. L'autoradio ci faceva compagnia, un semplice sottofondo basso su una stazione a caso.

Rory mi solleticò la schiena nuda, percorse una linea immaginaria dal mio fianco sinistro fino alle scapole, poi mi tirò il lobo dell'orecchio e soffiò una risata tra i miei capelli.

«Ho sete» dissi all'improvviso, totalmente fuori contesto.

«Te la tieni, non ho alcuna intenzione di muovermi da qui per prenderti la bottiglietta. E poi pesi, non riuscirei a spostarmi nemmeno volendo.»

Mugolai. «Come se io volessi spostarmi.» Gli azzannai il collo. Rory gemette. «Era solo un'informazione di servizio.»

La sua risata mi scompigliò altre ciocche.

Andai alla ricerca della sua bocca, se non potevo bere, almeno avrei tentato di racimolare liquidi in un altro modo. La treccina mi sfiorava la guancia a ogni movimento delle nostre labbra, le dita di Rory erano di nuovo delicate sulla mia schiena.

Gli baciai ancora il collo, la gola. Scesi fino al petto, gli feci un succhiotto anche lì. Quella notte ero in vena di succhiotti, aveva la pelle chiazzata come quella di una mucca. Ammirai l'alone rosso sulla sua pelle e me ne compiacqui, quindi mi abbandonai con l'orecchio sul suo cuore.

«Ti capita mai di pensare a te stesso nel futuro?» domandò nel silenzio tra una canzone e l'altra.

Sollevai la testa. «Cos'è? Discorsi filosofici post sesso?»

Il mutismo di Rory accese subito un campanello d'allarme. Il suo viso colpito dalla luna non risplendeva come suo solito. L'ombra predominava persino nella luce, quasi avesse una maschera di ceramica che le impedisse di infiltrarsi.

Mi tirai su a sedere composto. «È successo qualcosa?»

Rory scosse la testa.

«A chi vuoi darla a bere?» Gli spostai i capelli dalla fronte, il ciuffo sbarazzino, come una molla, tornò al suo posto. «Ehi, principessa.»

«Sai che chiamarmi principessa non funziona ogni volta?» ribatté, ritrovando un briciolo della sua sfrontatezza.

«Ah, no? A me pare che ti sia appena sciolto.»

Rory rise, e io mi sentii più leggero. Mi sentii come se avessi crepato in parte la ceramica che teneva prigioniera la mia principessa.

«Davvero» insistetti, accarezzandogli una guancia. «Raccontami cosa ti è successo.»

Rory rimase ancora in silenzio, ma vedevo al di là della maschera il desiderio di rendermi partecipe dei suoi pensieri.

Gli baciai una palpebra e poi l'altra. Soffiai il suo nome sulle sue labbra e lo pregai di dirmi cosa lo tormentava.

«Sei testardo.»

«Non lo sapevi già?»

Sospirò, intrecciò le dita tra le punte dei miei capelli e prese a giocarci. «È l'anniversario del giorno in cui sono scappato di casa.»

Il mondo si quietò un istante prima che lava incandescente cominciasse a ribollire in me. Soltanto poche settimane prima Rory, mentre eravamo ospiti dai suoi nonni, si era finalmente aperto con me sul suo passato. La rabbia predominava ogni volta in cui pensavo alla sua famiglia. No... quella non poteva definirsi una famiglia. Li odiavo, e odiavo che Rory ci stesse ancora così male. Odiavo che lo tenessero in pugno nonostante fosse andato avanti con la sua vita, odiavo sperasse in una riappacificazione. Odiavo chiunque oscurasse la mia principessa. Volevo essere il principe che lo portava in salvo, che prendeva a calci in culo tutti quelli che non erano in grado di accettare Rory per ciò che era.

Come Toccare un FioreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora