36. Ninfa

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«Che strazio!» Alex si stiracchiò le braccia. «Ancora due ore prima di tornare a casa.»

«Scommetto che non vedi l'ora di infilarti nel pigiama» lo punzecchiò Nathan. Theresa gli tirò una gomitata nelle costole in men che non si dica.

Alzai gli occhi al cielo per il solito teatrino, mentre chiudevo la tracolla. «Pensa che io devo rimanere fino alle quattro e mezza.»

Alex fece una smorfia di dolore. «Sono davvero dispiaciuto per te, amico.»

Sogghignai.

«Warren?»

Il cuore accelerò senza preavviso, neanche il tempo di voltarmi verso quella voce conosciuta e che non avrebbe dovuto trovarsi lì.

Era lì eccome.

«Jen?» dissi confuso davanti ai suoi occhi di terra bagnata che mi guardavano sorridenti. «Cosa ci fai qui? Non facevi chiusura, oggi?»

«Bugia» rispose con così tanta innocenza, piegando il capo di lato, che i battiti accelerarono un altro po'.

Sollevai le sopracciglia. «Piccola bugiarda!»

Uscii dalla fila con la tracolla in spalla e mi fermai di fronte a Jen. Già era piccola di suo, e il fatto che si trovasse su un gradino più in basso rispetto a me la faceva sembrare ancora più minuta.

«Come hai fatto a trovare l'aula?»

Jen ammiccò. «Ho un informatore di fiducia che mi ha praticamente fatto da navigatore.»

«Kevin.»

Bastò la sua risata come conferma. «Volevo farti una sorpresa.»

Una coppia di ragazze ci passò accanto e per poco ci travolse. Strinsi la spalla di Jen e la tirai verso le sedute nell'istinto di proteggerla. Non tolsi la mano neanche quando il pericolo fu scampato. Il corpo fu attraversato dai ricordi di venerdì sera e mi investì il desiderio di sentire nuovamente la sua pelle a contatto con la mia.

Mi era mancata in quei giorni.

Il senso di colpa si era presentato, il sabato mattina, ma anche la consapevolezza che qualcosa fosse cambiato. La colpa non era sfociata in attacco di panico, pianto o in una giornata a letto ascoltando le vecchie note audio di Rory o guardando le nostre foto. Era semplicemente stata un groviglio, a volte in gola a volte nel petto, che compariva soltanto quando ero io a rifletterci. E non ci avevo riflettuto poi così tanto, se non appena sveglio e prima di addormentarmi. Ciò a cui avevo pensato di più era quando avrei potuto rivedere Jen, mandarle un messaggio. Il weekend era sempre complicato, erano gli unici due giorni in cui la presenza di Austin intimoriva anche me perché mi obbligava a rimanere lontano da Jen.

Perché obbligava Jen a rimanere vicino ad Austin.

Era insopportabile.

Quel martedì, però, Jen era venuta per me. Eravamo di nuovo l'uno la forza dell'altro per uscire dai nostri problemi. Perciò non esitai quando mi piegai in avanti per appoggiare le labbra sulle sue. Baci leggeri, lenti. Le vezzeggiai le guance con il pollice dopo essermi allontanato.

«Sorpresa riuscita» sussurrai.

Jen strizzò gli occhi.

Poi ricordai che i miei programmi per quella giornata non si riducevano a noi due che mandavamo a fanculo le rispettive prigioni.

«Stavo per pranzare con Kevin, ma se vuoi gli do buca e andiamo da qualche parte io e te.»

«Ma no, mi fa piacere unirmi a voi. Se posso.»

Come Toccare un FioreWhere stories live. Discover now