9. Brusco

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Avevo preso l'abitudine di fumare sul balcone, la mattina, anche se ormai era dicembre e si gelava. Il motivo per cui lo facevo era tra i più squilibrati di sempre: aspettavo che Jen passasse sotto casa per... vederla.

Era un test per me stesso.

Se fossi riuscito a non andare nel panico, a non pensare, avrebbe significato essere riuscito a rialzarmi per l'ennesima volta.

Il destino mi aveva dato una mano, perché ogni mattina Jen usciva di casa, sempre intorno alla stessa ora, giusto qualche minuto prima che io dovessi prepararmi per andare in università, e puntualmente mi ero fatto trovare sul balcone a fumare.

Il primo giorno ci era mancato poco che mi cadesse la sigaretta di mano e finisse nel balcone di quelli di sotto; già li sopportavo poco, loro e i loro nipoti urlanti. Il secondo giorno l'avevo salutata, Jen si era guardata attorno, confusa, poi mi aveva visto e aveva mosso una mano verso di me. Mi era bruciato qualcosa all'altezza del petto e non avevo finito la sigaretta. Il terzo giorno l'avevo salutata e lei aveva alzato la testa e poi la mano. L'avevo osservata finché non aveva svoltato l'angolo, con il fumo che faceva da filtro tra il mondo fuori e quello dentro di me. Il quarto giorno era passata davanti a casa mia con lo sguardo già rivolto al mio balcone, avevo tirato un sospiro. Il quinto mi aveva salutato per prima e io avevo sorriso rendendomi conto soltanto più tardi che non avevo provato alcun malessere. Il sesto ne ebbi la conferma, avevo superato la prova.

Così, per usare una licenza divina, il settimo giorno mi riposai.

Era sabato, perciò non dovevo andare in università e mi concessi un paio d'ore in più a letto. Quando però le commissioni della vita giornaliera mi reclamarono – era il lato negativo del vivere da solo, non c'era più mamma che faceva gran parte delle cose per me – mi obbligai a uscire di casa anche se fuori pioveva, quella pioggerellina sottile e leggera che serviva soltanto a dare fastidio.

Salii in auto rabbrividendo con tanto di brr e una parolaccia, la manopola del riscaldamento girata verso il massimo l'attimo successivo. Uscii dal parcheggio dopo una manciata di minuti, non appena le mani tornarono a una temperatura decente. Feci una singola curva prima di rendermi conto che il test sarebbe continuato anche quella mattina, e io decisi di affrontarlo.

Accostai al marciapiede, dove una figura avvolta in chilometri di sciarpa camminava a passo svelto, reggendo un ombrellino salmone, e abbassai il finestrino.

«Jen!»

La presi decisamente in contropiede, per poco non fece un balzo. Quando mi vide, sorrise e sfilò una mano dalla tasca del cappotto per agitarla in segno di saluto.

«Vuoi un passaggio?»

Fermai l'auto.

«No, grazie comunque.»

«Sicura? Guarda che...»

Si fermò anche lei. «Non ti costa nulla» concluse al posto mio.

Mi grattai la guancia ispida di barba, imbarazzato. «L'avevo già detto?»

«Quando mi hai aiutata con gli scatoloni.»

«Ah...» ridacchiai. «Devo rimpolpare il mio repertorio di battute persuasive.»

Jen abbassò la testa facendo una risatina che fu coperta dal rumore sordo della pioggia, diventata ancora più fitta.

«Dai, ti evito di inzupparti gli stivali» insistetti. Neanche io sapevo da dove derivasse tutto quello sforzo di fare bella figura con lei, di mostrarmi gentile. Lo ero, sì, ma non a quei livelli. Non così sfacciatamente.

Magari pensa che stia flirtando.

Ci mancava solo quello.

Jen si avvicinò e si sporse appena verso il finestrino abbassato. Stava per dire qualcosa, ma la vidi serrare le labbra e guardarmi spaesata. «Ti sei truccato?» domandò poi.

Come Toccare un FioreWhere stories live. Discover now