13. Fili

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Lo scricchiolio della ghiaia sotto ai piedi mi accompagnò fino alla porta d'ingresso. Avevo già tirato fuori le chiavi dalla tasca.

«Guardate un po' chi è arrivato!»

La nonna doveva starmi aspettando, perché la trovai in piedi accanto al divano sul quale fino a un istante prima, probabilmente, stava guardando uno di quei programmi di cucina che lei adorava; la televisione era ancora accesa.

«Warren, bimbo mio.» Fui subito tra le sue braccia, investito dalle margherite che ricoprivano il grembiule al di sopra di un vestito azzurro lungo fino alle caviglie. «Come stai? Com'è andato il viaggio?»

«Tutto bene, nonna. Tu come stai? E il nonno?»

Non feci in tempo a nominarlo che comparve dal corridoio con una bacinella piena di vestiti lavati tra le mani. «Ecco il mio ragazzone.»

Abbracciai anche lui, tutto spigoli, fronte e tenerezza.

La tensione delle ultime settimane era rimasta fuori dalla villa. Me ne accorsi non appena ebbi gli sguardi dei nonni su di me, così pieni d'amore e di legami. Per un breve periodo avevo invidiato Rory per il rapporto che aveva con loro, i miei nonni materni purtroppo non c'erano più e quelli paterni neppure li ricordavo, però poi era bastato valicare la porta di casa, l'estate di due anni prima, per capire che nonna Adelaide e nonno Louis mi avessero già adottato come nipote senza nemmeno conoscermi.

Tra i fili che mi tenevano insieme, ce n'era anche uno legato a loro. Era tra i fili più forti che possedevo.

«Vieni, aiutami a stendere» mi esortò il nonno, riprendendo la bacinella che aveva appoggiato sullo schienale del divano per abbracciarmi.

«Non sono ancora entrato in casa e già mi sfrutti?»

«Lascialo riposare almeno qualche minuto» intervenne la nonna. «Si è svegliato presto e ha guidato ore per venire qui.»

«Anche io mi sono svegliato presto per fare il bucato.»

Guardai i nonni bisticciare con un sorriso stampato in faccia. Era così bello essere lì, immerso in quel calore, con il profumo di rose nell'aria, con i girasoli finti nei vasi, così in contrasto con il periodo natalizio.

I nonni avevano montato un alberello, in un angolo del soggiorno, e lo avevano riempito di festoni rossi e oro, le lucine di tutti i colori si illuminavano a intermittenza, facendoti incrociare gli occhi se lo fissavi troppo a lungo. Sul mobiletto accanto erano state appese quattro calze, due per loro, una per me e l'ultima doveva essere per Oliver, il fratello di Rory. Lo odiavo. Ma sarebbe stato impossibile evitare di incontrarlo, dato che sarebbe venuto a pranzo dai nonni il 26 dicembre. L'anno precedente me ne ero tornato a casa prima, non mi sentivo pronto per passare una giornata con lui, dopo aver avuto già un faccia a faccia al cimitero che aveva riportato a galla la rabbia. Quell'anno, però, sarei rimasto. Avrei dimostrato a me stesso di aver compiuto un altro passo in avanti e al diamine la confusione dell'ultimo periodo.

Cinsi la nonna per i fianchi, lei fece lo stesso con me. «Mi date il telecomando per la sbarra automatica? Così parcheggio dentro e recupero la valigia.»

Un paio di minuti dopo ero di nuovo in casa. Nella sua stanza, che adesso era anche un po' mia. C'erano ancora i disegni sul muro, linee astratte da bambino pestifero che si era divertito a imbrattarlo; c'era parte dei suoi averi sulle mensole, dentro ai cassetti, nell'armadio. I nonni per il momento avevano deciso di tenere tutto, non sapevo se avrebbero mai venduto le sue cose o se le avrebbero regalate o date in beneficenza, ma io ero contento e persino sollevato che fossero lì. Mi facevano sentire ancora più a casa.

Sono arrivato, inviai nella chat di gruppo. Poi chiamai mia madre per avvisare anche lei. Subito dopo ero in cucina, seduto davanti a una tazza di caffè e a un vassoio di biscotti.

Come Toccare un FioreOù les histoires vivent. Découvrez maintenant