7. Nervoso

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Se il termosifone avesse continuato a gorgogliare, gli avrei tirato un calcio. Non riuscivo a concentrarmi sulle parole del dottor Robertson, c'erano i glu glu e i tac improvvisi che mi stavano facendo venire il nervoso. Anche il fatto che piovesse mi rendeva nervoso. E che dovevo fare benzina. E comprare un altro pacchetto di sigarette. E fare la spesa. Per non parlare della lavatrice.

Okay, ero nervoso.

A prescindere.

Incazzato nero. Sempre meglio che disperato.

«Mi stai ascoltando, Warren?»

«Dovrebbe aggiustare il termosifone.»

Il dottor Robertson si bloccò, si sistemò a rallentatore sulla sua poltrona mentre lanciava un'occhiata allo strumento del demonio alla mia destra. «È piuttosto... rumoroso.»

«Rumoroso?» Sbuffai dal naso. «È insopportabile.»

«Okay...» Il dottore incrociò le dita come in preghiera, allargò i gomiti e li puntellò sulla scrivania. «Quale sarebbe il tuo suggerimento per renderlo più sopportabile?»

Scrollai le spalle. «Chiamare un idraulico?»

«E se ti dicessi che l'ho già chiamato, che lo ha aggiustato ma che dopo qualche mese il termosifone ha ripreso a fare rumore...» Una pausa, al dottor Robertson piaceva fare pause. «Cosa penseresti?»

«Che l'idraulico è un incapace.»

«Uhm... e?»

«E che sarebbe meglio chiamarne un altro.» Aggrottai le sopracciglia, poi appoggiai entrambi gli avambracci sui braccioli della poltrona. «Sta cercando di dirmi che devo cambiare psicologo?»

«No.» La sua risata fu bassa ma calda. «Beh, sempre che tu non ne senta il bisogno.»

Rimasi in silenzio. Non perché stessi prendendo in considerazione le sue parole, non volevo andare da un altro psicologo. Prima di Robertson ne avevo provati altri due ed entrambi mi avevano fatto una pessima impressione, a pelle, dopo una sola seduta. Era stato facile per me sparire e cercarne altri, ero sempre stato così: se qualcuno non mi andava a genio, mi bastava uno schiocco di dita per dirgli "Ciao, ciao, a una prossima vita".

Quando ero entrato nello studio del dottor Robertson, invece, era scattato qualcosa. Mi aveva sorriso dietro a una barba perfettamente curata, solo pochi millimetri su mento e guance, mentre io non mi radevo da un mese e poco mi interessava di farlo. Mi aveva chiesto come stessi e il mio sguardo era caduto sui suoi vestiti, un paio di jeans chiari e una polo verde limone, io ero nero dalla testa ai piedi. Mi aveva poi detto di accomodarmi dove più preferissi, anche alla sua poltrona, se avessi voluto, e avevo spostato gli occhi sui suoi capelli vaporosi, di un biondo cenere, domati dal gel, al contrario dei miei che poggiavano sulle spalle, arricciati sulle punte.

Ero rimasto imbambolato. Lui mi aveva osservato senza mai smettere di sorridere. Era un sorriso sincero, non perché doveva essere gentile con me o perché doveva mostrarsi accomodante.

«Quando vuoi» aveva detto, e aveva riposto un paio di libri negli scaffali dietro di lui. Mi si era avvicinato ma solo per sistemare la poltrona lì accanto a me. «Ho anche un cuscino, se preferisci stare sul pavimento.»

Le parole erano uscite di getto, disperate. «Può aiutarmi a rimettermi insieme?»

Il suo sorriso era svanito solo per lasciare il posto a uno sguardo determinato. «Farò il possibile» aveva risposto. «Faremo il possibile» si era corretto subito dopo.

Allora mi ero seduto sulla poltrona ed era iniziata la nostra... relazione. Una volta alla settimana, ogni mercoledì, per otto mesi. Poi le sedute erano diventate sporadiche fino a interromperle del tutto. In quel momento, seduto di nuovo su quella poltrona con lo stomaco ribaltato, speravo di non dover ricominciare da capo.

«L'idraulico non sono io, io sono solo l'assistente.» La voce di Robertson mi riportò al presente. «L'idraulico sei tu.»

Oh, ottimo.

Ero io l'incapace.

Gran bella merda.

«Abbiamo fatto un percorso insieme sull'elaborazione del lutto e sul senso di colpa, ma forse abbiamo scandagliato solo la superficie, convinti che il problema risiedesse lì.» Il dottor Robertson si schiarì la gola, picchiettò i pollici tra loro. «Con questo non intendo dire che quello che abbiamo fatto sia stato inutile o sbagliato, i progressi ci sono stati, e tanti. Lo sai bene anche tu.»

Annuii.

«Però forse c'è altro che non abbiamo visto o che abbiamo ignorato.»

«Non saprei cos'altro possa esserci.»

Robertson rifilò un'occhiata al termosifone. «Cos'altro ti rende nervoso?»

«Tutto.»

Lui mi sorrise, quel giorno non c'era la barba a tracciare il contorno della sua bocca.

Sciorinai tutto ciò che mi rendeva nervoso, dal vento che sbatteva contro la finestra al suono delle notifiche del cellulare.

«Altro?»

«I giudizi delle persone e...» Scavai nei pensieri e aggiunsi, rabbioso: «Quel ragazzo.»

«Benissimo.» Robertson si alzò dalla poltrona poggiando entrambe le mani sulla scrivania. «Per ognuna di queste cose devi trovarne una che invece ti faccia sentire bene.»

«Cazzo, sono un sacco di cose.»

Mi scoccò uno sguardo divertito. «Le hai elencate tu, non io.»

«Mi sta prendendo per il culo?» Incrociai le braccia mentre lui scoppiava a ridere. «Un vero spasso, ah-ah.»

«Se sono troppe, basta diminuire le cose che ti innervosiscono.» Mi si mise davanti, i fianchi contro la scrivania. «Io inizierei dalla spesa.»

Borbottai una parolaccia.

«Facciamo che mi dai una risposta il prossimo mercoledì? Sempre alle diciassette?»

Mi alzai con uno sbuffo. «Il prossimo mercoledì» concordai.

Il dottor Robertson mi accompagnò alla porta. Prima di uscire dallo studio, però, c'era ancora una domanda che mi tartassava.

«Per quanto riguarda quel ragazzo?»

«Tu cosa vorresti fare?»

Farlo sparire dalla mia mente, sarebbe stato un ottimo inizio per smetterla di farmi problemi idioti.

«Non lo so.»

«Me lo dirai il prossimo mercoledì insieme alle altre cose» rispose Robertson, affabile. «Mi raccomando, se hai bisogno, scrivimi.»

«Grazie, buona serata.»

«A te.»

Per tutto il viaggio di ritorno pensai a delle possibili risposte. Cercai qualcosa di positivo nella mia vita, al primo posto mi venne in mente mia madre, seguita a ruota dai miei amici e dal tirocinio all'università. C'era il mio appartamento, un luogo completamente mio. C'era la chitarra che di tanto in tanto strimpellavo, anche se troppo poco. C'erano anche le sigarette. Il caffè, poi, perché no? C'erano i miei ricordi, alcuni erano i più felici e preziosi della mia vita.

Sì, avrei potuto eliminare qualcosa dalla lista di ciò che mi rendeva nervoso e lo avrei sostituito con ciò che mi faceva stare bene. Non sarebbe stato troppo complicato.

L'unica cosa a cui non riuscii a trovare una risposta fu cosa fare con quel ragazzo.

Non ne avevo la minima idea.

A quel punto, sperai davvero che sparisse così come era comparso. 



NOTA DELL'AUTRICE:
Facciamo la conoscenza di una delle persone che ha aiutato Warren dopo quei brutti brutti mesi... come trovate il dottor Robertson? Mi sembra abbia preso bene Warren, no? Che è un po' confuso e tanto irritato u.u povero ragazzo u.u

Capitolo molto breve, ma dal prossimo si entra nel vivo della storia e tutto cambierà... forse u.u

Fatemi sapere cosa ne pensate e lasciatemi una stellina se anche voi avete il nervoso facile come Warren!

Baci!
Flor ^w^

Come Toccare un FioreWhere stories live. Discover now