42. Scappare

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«Grazie, Kevin. Stiamo arrivando.»

Misi giù la chiamata e tornai in soggiorno, dove avevo lasciato Jen seduta sul divano con una coperta e una tazza di tè.

Ancora non ci credevo. Eppure, quante volte avevo pensato che sarebbe successo? Nonostante Jen mi avesse detto che Austin non era mai stato violento, che non l'aveva mai toccata senza il suo consenso, nonostante le sue fossero sempre state offese verbali e manipolazioni psico-emotive.

Non ero con lei per difenderla.

«Mi avevi avvertito.»

«Jen...»

«Ma io non ti ho dato ascolto.»

«Jen.» Mi sedetti al suo fianco, ma fui restio a toccarla. Non volevo invadere i suoi spazi, a meno che non mi avesse espressamente fatto intendere che lo volesse lei. «Senti. Non provare nemmeno a darti la colpa per ciò che è successo. Non è colpa tua, tu non c'entri niente.»

«Avrei potuto evitarlo.»

Sospirai profondamente. «Sì, è vero. Ma tu eri convinta che Austin non lo avrebbe mai fatto.»

Le si riempirono gli occhi di pianto. «Credevo che non fosse quel tipo di persona, che non potesse alzare le mani. Non su di me» disse l'ultima frase con voce strozzata, addirittura incredula. Quanta fiducia riponeva ancora in Austin? «Non dopo tutto ciò che c'è stato tra di noi.»

E quanta fiducia gli avrebbe ancora dato dopo quel giorno? Me la sarei ritrovata davanti alla porta di casa con sempre più lividi? Sarebbe arrivato il giorno in cui mi avrebbero telefonato per dirmi che era...

Contrassi i muscoli.

Sospirai di nuovo. «Lo so, lo so.»

Devo farle capire a cosa rischia di andare incontro.

«Per questo non devi darti la colpa. È colpa di Austin, che ti ha raggirato.»

Prima che accada il peggio.

«Non è il vero Austin quello che pensi di conoscere.»

Lei singhiozzò, bevve un sorso di tè. Solo quando fu più tranquilla rispose: «Credo di averlo capito.»

Un ulteriore sospiro, questa volta di sollievo. «Okay, bene.»

Non sapevo cosa aggiungere, né se potessi abbracciarla o baciarla. Non sapevo se mi vedesse come la sua rinascita o la sua rovina. Jen non mi aveva ancora raccontato cosa fosse successo perché Austin fosse arrivato a picchiarla, era troppo scossa e ferita, ma temevo che in parte fosse colpa mia. Per aver permesso a Jen di sorridere. Di essere felice. E Austin se n'era accorto; doveva essere impazzito per aver perso il controllo su di lei. Invece di renderla libera, l'avevo soltanto resa più schiava.

Volevo scusarmi, invece mi alzai dal divano come un fuggitivo. «Andiamo, Kevin ci sta aspettando.»

Jen mi afferrò per un polso, e l'istante dopo me la ritrovai contro il petto. La strinsi. La strinsi anche se le braccia mi tremavano. E quando mi baciò cercai di imprimere sulle sue labbra quelle scuse che avevo sulla punta della lingua e tutti i sentimenti che provavo per lei.




«Vuoi raccontarci cosa è successo?»

Jen alzò lo sguardo su Kevin. I suoi occhi imploravano di non farle rivivere quella vergogna, ma avevamo bisogno entrambi di sapere. Si tolse dalla faccia la busta di ghiaccio in gel che le aveva dato Kevin; la pelle attorno ai lividi si era arrossata. Non aveva un bell'aspetto, ma immaginai che le ferite esteriori fossero nulla in confronto a quelle della sua anima.

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