10. Caffè

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«Non starai parlando sul serio.»

Sbuffai nel ricevitore del telefono. «C'è qualcosa che non torna, Kevin.» Presi un cuscino del divano da dietro la testa e me lo schiacciai sullo stomaco, chiudendo gli occhi. «È strano, Jen è strana e anche Austin.»

«Come fai a dirlo con certezza?»

«Perché si vede, dai!»

Kevin non rispose, sentii il suo respiro nell'orecchio, incerto e forse anche un po' arrabbiato.

Quando mai avevo deciso di confidarmi con lui? Avevo sperato che mi desse corda e che mi aiutasse a ragionare su cosa fare con Jen, invece mi stava smontando pezzo dopo pezzo. Ma io sapevo di aver ragione, me lo sentivo. Una persona non si comportava in quel modo, in una relazione felice. La paura di Jen non me l'ero inventata.

Come cazzo era possibile che ero stato l'unico a notarla?

«Anche quando ci siamo scambiati i numeri di telefono» continuai. «Jen non voleva, come se avesse paura che le scrivessi o che ne so. Ho dovuto fare una battuta per convincerla. Dai, quando mai una ragazza non vuole il mio numero?»

«Forse perché le ricordi uno stalker?»

Feci una specie di ringhio gutturale. «Smettila, sono serio.»

«Anche io lo sono.» La voce di Kevin era irremovibile. «Non so cosa ti sia preso così di punto in bianco, ma non puoi andare in giro a vedere il male ovunque.»

«Non vedo il male ovunque.»

«Allora, a proiettare sugli altri il tuo bisogno di essere un cavaliere.»

Mi sentii colpito nel vivo, per un attimo persi l'uso della parola.

«Ehi! Questa da dove ti è uscita?»

«Perché è così, Warren.» Kevin fece un respiro profondo. «Sappiamo che fai il duro ma che in realtà hai il cuore d'oro. Sappiamo che hai l'istinto naturale di proteggere gli altri.»

Riaprii gli occhi, puntandoli al soffitto. Qualcosa dentro di me si ruppe e fece risalire a galla l'incubo di una decina di giorni prima. Il senso di colpa si affacciò ormai familiare, quello su cui avevo lavorato per mesi insieme al dottor Robertson.

Kevin aveva ragione.

«E questa Jen sembra averti innescato qualcosa perché assomiglia a...»

«No, non ci assomiglia» sussurrai.

Il tono del mio amico cambiò, diventando delicato. «Però è partito tutto da questo, no?»

«Sì...»

«Warren, voglio solo che tu non ti faccia del male.»

«Lo so.»

Strinsi maggiormente il cuscino e mi raggomitolai su un fianco.

Quindi starei proiettando su Jen il mio desiderio di proteggere Rory?

Con lui avevo fallito, perciò quello era il mio riscatto? Riscatto da cosa, poi? Da un pericolo probabilmente inesistente, un pericolo che la mia testa poteva aver inventato, ingigantito o travisato. Forse ero io il pericolo, perché ero entrato bruscamente – Jen aveva usato il termine adatto – nella sua vita.

«È strano, Kevin» perseverai, malgrado la scarsa convinzione nella voce.

«Per loro potrebbe non esserlo. In fondo, cosa sai della loro relazione, cosa sai di Jen come persona? Il suo passato, e anche il passato di Austin.»

Più Kevin parlava e più il mio umore si smorzava. Eppure, sotto allo strato di rinuncia, c'erano altri sentimenti che premevano per uscire. C'era l'irruenza, c'era il bisogno di sapere. Sì, quella era la parola chiave. Sapere. Solo così avrei potuto capire.

Come Toccare un FioreWhere stories live. Discover now