23. Professore

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Bussai alla porta aperta dell'ufficio del professor Turner per annunciarmi, sporgendomi all'interno con la testa. Il professore era seduto alla cattedra, concentrato su un plico di fogli, ma sollevò subito lo sguardo su di me.

«Accomodati, Warren.»

Mise il plico da parte e mi indicò con un braccio la sedia davanti a lui.

Mi accomodai.

Le mani sudavano. Per tutto il viaggio dall'aula magna all'ufficio, avevo cercato di inventarmi delle scuse per qualsiasi eventualità. Se mi avesse bocciato la tesi, tuttavia, non ero sicuro che sarei rimasto composto, anche se avrei dovuto, prima di ritrovarmi senza tutor e cancellare ogni possibilità di laurearmi.

«Grazie per essere venuto» cominciò a parlare Turner. Nell'ufficio regnava odore di carta e di caffè. Le altre due scrivanie ai lati della stanza erano vuote, ma decisamente in disordine rispetto alla sua. «Come ti ho anticipato in aula, vorrei parlare con te di una cosa molto importante.»

«Ho fatto qualche sbaglio?» mi venne spontaneo chiedere, incapace di attendere.

«Assolutamente no, tutto al contrario.»

Ci mancò poco che sospirassi talmente forte da gettare all'aria tutte le carte sulla scrivania. Così come l'ansia mi aveva devastato fino a una manciata di secondi prima, un sentore di sollievo mi formicolò in fondo allo stomaco.

«Non ti nascondo che sei uno dei miei migliori studenti, Warren.» Il professore si sporse appena in avanti, i gomiti appoggiati alla scrivania e le mani unite davanti alla faccia. «Sono davvero contento che tu mi abbia chiesto di essere il tuo tutor.»

«Sono contento che lei abbia accettato, professore.»

Sorrise, le rughe gli spaccarono la pelle attorno alle labbra secche. «Non succede ogni anno che lasci in mano a uno studente i laboratori. Brevi interventi, ma è la dimostrazione di quanto io mi fidi di te.»

Il sollievo divenne orgoglio e si manifestò sulla mia faccia con il sorriso più sincero degli ultimi giorni.

«È proprio vedendoti in quel ruolo che mi è venuto in mente di chiederti ciò che sto per chiederti.»

«Mi dica.»

«Hai mai pensato di diventare professore?»

Mi trattenni dallo spalancare la bocca come un pesce lesso. «Un professore... intende accademico?»

«Questa è la mia speranza, ma te lo chiedo in generale.»

Ammutolii per qualche istante.

Io professore...

Anche Kevin mi aveva detto una cosa del genere qualche mese prima. Io non avevo saputo dargli una risposta completa perché, in effetti, non ne avevo una. Ero bravo, mi sentivo bravo, ma come aveva detto Turner i miei erano solo brevi interventi. Mi sentivo anche importante, però, mi sentivo apprezzato, temuto. Sentivo di coinvolgere gli studenti rendendo loro più interessante ciò che magari reputavano noioso. Sentivo di fare qualcosa di buono, che la mia vita, in quei momenti, fosse un po' meno fragile, immersa nel suo habitat naturale. La botanica era ciò che volevo fare, sì. Ma insegnarla? Non era esattamente la stessa cosa e... No, non avevo una risposta neanche in quel frangente.

«Non lo so» ammisi.

Il professor Turner sciolse le mani e le poggiò entrambe sulla scrivania, tirandosi in avanti. «Ti vorrei chiedere di rifletterci.»

«Ora?»

Mi rivolse uno sguardo divertito.

«Cioè, mi scusi...» Spostavo freneticamente gli occhi ovunque, sotto la scrivania, sul pavimento, sulle mie scarpe, sui jeans, sulle mani ancora più sudate. «Quando mi sono iscritto a questa facoltà pensavo di voler lavorare con le piante, ed è ancora così.»

Come Toccare un FioreWhere stories live. Discover now