32. Queen

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"Sei sicura?"

Guardai al sua faccia preoccupata e mi fermai per un momento: non volevo fare danni. Ma eravamo due ragazze anche noi, degne di avere una vita quasi normale, ed allora alzai le spalle ed annuii:

"Credo che non sia poi un caso di stato, se ci mangiamo qualcosa da Burger King. Non credi?"

"Qualcuno ci riconoscerà."

"Lo so" Sospirai: "Ma per una volta voglio pensare a me. Capirò se non vorrai scendere ..."

Camila volse lo sguardo verso il finestrino e ci pensò per un secondo. Poi si protese verso di me e mi baciò una guancia, con una leggerezza indescrivibile:

"Va bene" Mi sorrise: "Ma devi infilarti la corona di cartone in testa per mangiare."

Alzai gli occhi al cielo, sorridendo come una bambina, e scesi dall'auto di Steph per aprire il suo sportello. La ragazza scese, guardandosi un attimo intorno, e mi bloccò quando io cercai di fare qualche passo:

"Sai che ti prenderei la mano e farei tutto quello che non ci è permesso di fare, vero?"

"Certo" Corrugai le sopracciglia: "Perché?"

"Perché voglio che tu sappia che io farei qualsiasi di queste cose, se solo ne avessi la possibilità."

Annuii lentamente, abbassando gli occhi a terra, sulle mie scarpe. Era una sensazione orribile, quella di non poter essere chi si era per davvero. E finalmente, dopo settimane di dubbi, avevo appena avuto la conferma che Camila si stesse sentendo esattamente come me.

Sospirai, restando a guardare le mie scarpe per un po'. Ma poi la mia fame si fece sentire ed allora socchiusi gli occhi, sbuffando leggermente per l' avvilimento:

"Ho una fame da lupi, Cabello." Dissi per sdrammatizzare: "Sarà meglio andare, se non vuoi trovarti con qualche arto in meno."

Rise, staccando la schiena dalla macchina nera, e camminò verso di me stringendosi nella maglietta leggera. Non appena fummo all'entrata, poiché era molto tardi, le luci ci invasero la vista. Non c'era molta gente e di certo questo non poteva che renderci felici:

"Sei fissata con le delusioni."

La guardai, sorridendo per la sua discrezione, e scossi la testa divertita:

"Si" Annuii poi: "Lo ammetto: sono davvero fissata con le delusioni."

Arrivammo davanti alla scala mobile e ci salimmo sopra. Poggiai la schiena contro i bordi mobili ed incrociai le braccia al petto, aspettando che lei mi chiedesse:

"Perché?"

"Perché ho paura di essere io, una delusione."

Rimanemmo entrambe in silenzio, tutte e due colpite dalla profondità della mia risposta. Camila mi sfiorò le mani, che avevo successivamente posato dietro di me, ed io le sorrisi leggermente:

"Vorrei davvero non essere stata una delusione per te."

"Non lo sei stata." Mi guardò negli occhi: "Niente che riguardi te può essere considerata tale."

Avrei voluto risponderle degnamente, ma arrivammo alla fine delle scale e fummo costrette a camminare verso il fast food. Camminavamo una accanto all'altra, sfiorandoci le mani di tanto in  tanto, e parlavamo di tutto ciò che non comprendesse noi e quel momento nel garage.

Poco dopo poiché, ripeto, era tardi, fummo subito le prime e le ultime della fila. Ordinammo le nostre cose e Camila corse, gentilmente, a prendere la fottuta corona di cartone che avevo tanto desiderato: era felice, lo si poteva leggere sul suo volto sveglio.

The fault of the moon || CamrenWhere stories live. Discover now