55. Worth it

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Eravamo delle fuggitive: due ragazze che non potevano amarsi e, per quanto vi sembrerà triste e deprimente, fidatevi, ci eravamo accontentate anche di questo.

Avevamo delle regole da seguire, delle cose che non dovevamo fare in presenza degli altri. Avevamo dei segnali, dovevamo fare quello che ci veniva detto: potevamo massaggiarci a giorni alterni, quando sapevamo di essere sole entrambe, e potevamo parlare solamente in presenza di Stephen. Camila continuava a crescere, e le ragazze continuavano a chiedersi che cosa stesse succedendo tra me e la cubana: la solita routine, quindi. Mentre il mondo continuava il suo corso crudele, io facevo la mia vita di sempre: mi struggevo per un amore destinato a morire.

Nulla di tutto quello che ci era stato ordinato di fare era stato prima discusso con noi: o lo facevamo, o niente contratto discografico. Li avreste uccisi? Anche io, ma non avrei mai potuto mettermi contro una cosa più grande di me. Non si stava parlando di un capriccio di adolescenti, no, ma di contratti e soldi; odiavo che la mia stessa voglia di essere sincera con tutti venisse smorzata dalla continua censura delle mie emozioni, ma era così e né io né Camila potevamo farci nulla. Dovevamo vivere ognuna la propria vita: lontane da chiacchiere e occhi indiscreti, lontana una dal cuore dell'altra.

L'imminente allontanamento di noi due fu lungo oggetto di discussione a casa: Taylor e Chris non potevano credere a cose tanto crudeli, e sia la mamma che il papà continuavano a domandare cosa ci avesse fatto litigare. Continavamo a mentire e a nasconderci: non potevamo più nemmeno metterci sedute vicine: volevano farci dimenticare dell'esistenza altrui; ma noi due ci amavamo, e sarebbe stato impossibile.

Scesi dall'auto ed infilai la chiave nell'apposita fessura per chiudere la macchina. Non amavo avere le mani piene di roba e, di conseguenza, lasciai che le cose cadessero nella tasca del mio zainetto nero. Camminai verso l'enorme edificio in vetro e mi sbrigai ad afferrare la porta prima che si chiudesse di nuovo: Stephen era seduto al bancone principale, con i suoi occhiali da vista ed il cappuccino in mano.

"Buongiorno." Mi sorrise dolcemente: "Dormito bene?"

"Come ogni notte." Scherzai: "Le altre sono di sopra?"

Non appena ebbi la sua conferma, salii al primo piano, dove ci era solito organizzare le riunioni. Mi infilai gli occhiai da sole, prima di entrare, e sospirai guardando la maniglia: era un altro giorno, ed io dovevo essere pronta a ricominciare a fingere, a far vedere che di lei non m'importava nulla.

Spalancai la porta, mettendo il giacchetto sulla poltrona principale, e salutai velocemente ognuna di noi. Camila non c'era, non ancora, e sospirai sollevata al pensiero di un po' di tranquillità. Mi legai velocemente i capelli e raggiunsi la tavola con la colazione:

"Ho bisogo di parlare con te."

"Con me?" Guardai Dinah: "è successo qualcosa?"

"Sai benissimo che le cose tra te e Camila sono cambiate: quando avete intenzione di dircelo?"

Mi guardai attorno e le diedi una gomitata, rischiando di rovinare tutto:

"Shhh" La ammonii: "Ti prego, ti spiegherò. È tutto più complicato del previsto, D."

"Sono la tua migliore amica, credevo che ci dicessimo tutto."

Non potevamo parlarne con nessuno: per il mondo, la storia tra me e Camila era stata archiviata. Non importava la parentela o il grado di affetto degli interessati: io e lei non dovevamo dire una sola parola con chiunque di loro. Stavamo facendo tutto questo per il bene del gruppo, per il nostro e per il loro. Sapevamo entrambe che ci avrebbero odiate, se avessero scoperto la gabbia che ci imprigionava: ma non potevamo rovinare tutto quanto.

The fault of the moon || CamrenWhere stories live. Discover now