66. Finally

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Eravamo una davanti all'altra, entrambe in piedi al centro del corridoio: Camila era confusa, io ero solo tanto curiosa di sapere cosa fosse accaduto. La ragazza era in piagiama ed aveva l'aria stanca e non la biasimavo: dopotutto ero comparsa alla sua porta a notte fonda. Sembrava essersi svegliata dopo un lungo incubo ed io, con il cuore ancora a mille, sapevo di sembrare tutto il contrario: ero sveglia, sveglia come non lo ero mai stata.

Prima di arrivare lì mi ero caricata di odio e di tristezza. Avevo ripensato a tutte le cattiverie che mi aveva fatto e detto e mi erco convinta a tenere il punto; ma ora ero davanti a lei e riuscivo a sentire la rabbia scivolare via lentamente.

Tra noi ci fu silenzio e Camila si strinse nella calda vestaglia dell'albergo di lusso. Non mi guardò né disse nulla, pietrificata com'era davanti alla mia comparsa improvvisa, ed io, allora, feci un passo in avanti:

"Ti prego, Lauren, è tardi."

"Non mi importa." Dissi decisa: "Era tardi anche per abbandonarmi senza dire nulla, ma non mi sembra tu ti sia fatta tanti problemi a farlo."

Annuì, strofinandosi gli occhi, ed alzò le mani in cielo in segno di resa:

"Hai ragione e mi dispiace, ma non mi sembra il caso."

"Non ti sembra il caso? Non so se te lo ricordi o se il tuo fottuto cervello te lo sei fumato tutto in una botta; ma io vivo a Miami ed ho preso un cazzo di aereo nel bel mezzo della notte per raggiungerti. Non credi, Camila, di dovermi spiegare qualcosa O pensi davvero, e spero seriamente di no, che tra noi vada tutto bene?"

La ragazza rimase in silenzio, ancora, ed io mi portai le mani alla testa. Ero stanca di tutti quei silenzi, di tutte le cose che Camila non mi diceva. Ero stanca del fatto che io fossi arrivata fino a lì per assistere sempre alle stesse scene: io mi disperavo e lei era lì, ferma, senza mai dire nulla.

La guardai, un'ultima volta, e poi mi girai per tornare da dove ero tornata. I miei passi pesanti rimbombarono per tutto il corridoio ed io ebbi solo l'istinto di urlarle che la odiavo. Non potevo credere che lei stesse lì ferma senza dire niente e pensai anche che, tutti quei chilometri, non ne erano valsi la pena. Proprio quando ero pronta a rinunciare, tutte le cose che avevamo fatto insieme mi passarono davanti agli occhi. Toccai il freddo metallo dell'ascensore e mi ricordai del primo bacio che ci eravamo date, di come fossi stata felice. Pensai che, nonostante tutte le sofferenze, io avrei sempre scelto lei e che se doveva finire, sarebbe dovuta finire in quel momento. Quindi, non appena la sentii sospirare, corsi indietro:

"Ti prego." Dissi arrivando davanti a lei: "Ti prego, Camila. Sono qui: eccomi, sono io. Dimmi cosa è successo, dimmi cosa ti ho fatto. Te lo sto chiedendo per favore, parlami, dimmi qualcosa."

"Non posso." Iniziò a piangere: "Ti prego, Lauren, vai a letto."

"No!" Dissi ad alta voce: "Non vado a letto finchè non mi dici che non mi ami più. Dimmi addio e ti giuro che non mi vedrai se non a lavoro. Dimmi che non vuoi più stare con me e ti prometto che me ne torno a casa in questo momento. Non sono venuta qui per tornare con te, Camila; ma ti prego, davvero, dimmi solamente cosa è successo nella tua fottuta testa."

La ragazza alzò la testa verso l'alto, come se l'aiutasse a smettere di piangere, ed annuì sbattendo il piede a terra. Si pulì il naso con la manica e, afferrendomi per la maglia, mi spinse dentro la camera:

"Va bene, cazzo, va bene." Tremò ancora: "Fammi vestire e andiamo da qualche parte."

"Camila, te lo ripeto: per me le cose non sono okay. Non mi basta afferrarti la mano per pensare che sia tutto apposto e tantomeno uscire in mezzo alla notte. Mi dispiace tantissimo ma per me le cose sono cambiate e non mi sento più di..."

The fault of the moon || CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora