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Erano le due del pomeriggio, ed io ero seduta sulla stessa poltrona di sempre. Camila e Shawn avevano parlato e suonato per ore, facendo passare il tempo così lentamente da rendere il tutto ancora più insopportabile. Le mie gambe erano ricoperte dalle mille giacche che, come se fossi un appendiabiti, erano state tranquillamente affidate al mio corpo stanco.

La cubana rideva e si divertiva come una matta: non avevo niente in contrario anzi, ero davvero contenta per lei; ma avrei preferito mille e mille volte restare a casa.

"Lo?"

Alzai di scatto la testa, percependo quel richiamo come una luce divina:

"Puoi andare a prenderci qualcosa da mangiare?" Sorrise: " Stiamo morendo di fame e non possiamo smettere di lavorare.""

La mia mascella si contrasse ed il mio sorriso speranzoso svanì nel giro di qualche secondo. Mi alzai, avvicinandomi alla mia borsa, e annuii in silenzio. Lanciai un'ultima occhiata alla ragazza, sperando che avesse compreso l'inadeguatezza della ragazza; ma quando la vidi ridere come sempre, sbuffai ed uscii dalla grande stanza.

"Ti manderò le ordinazioni via messaggio!"

La voce di Camila cessò dietro di me, non appena la porta si chiuse del tutto.

Avevamo passato gli ultimi giorni in quel posto ed avevo passato più tempo da sola che con Camila. Il ritorno al tour sarebbe arrivato a giorni e noi, purtroppo, avevamo trascorso i giorni in compagnia del ragazzo. Non avevo nulla contro di lui, assolutamente, ma il suo fare perennemente altruista nei confronti della mia amica mi mandava in pappa il cervello.

"Dove stai andando?"

I miei occhi, fissi a terra durante l'attesa dell'arrivo dell'ascensore, si alzarono. Stephan era davanti a me, con il suo solito cellulare tra le mani e mi stava sorridendo.

"Vado a fare la cameriera." Entrai: "Vuoi qualcosa anche tu?"

"Oh no, ti ringrazio."

Poggiai la testa contro il freddo metallo della piccola stanzetta e socchiusi gli occhi già muniti di lenti scure. L'uomo, con il quale avevo evitato ogni tipo di conversazione negli ultimi due mesi, si slacciò le maniche della camicia per il caldo, e mi guardò dispiaciuto:

"Ascoltami, Lauren." Deglutì stanco: "Non ho più voglia di combattere con te. Mi dispiace tanto di aver messo nella tua testa la mia immagine come antagonista della vicenda, ma cerca di capirmi."

"Io ci ho provato, Steph, ma come io dovrei mettermi nei tuoi panni, tu dovresti provare a metterti nei miei."

Le porte si aprirono, e l'uomo annuì lentamente. Percorremmo insieme il percorso che ci divideva dall'uscita e poi andammo ognuno per la propria strada:

"Hey." Mi fermò ancora: "Mi piacerebbe passare un po' di tempo con te, da soli."

"Vuoi uccidermi?"

"No." Ridemmo entrambi: "Voglio cercare di mettermi nei tuoi panni"

Ammetto di esser restata spiazzata, in quel momento. Io e Stephan avevamo avuto tanti alti e bassi, ed il fatto che volesse metterci una pietra sopra mi faceva davvero riflettere su che tipo di uomo era. Prima che succedesse tutto quel casino, io e lui avevamo avuto sempre una profonda sintonia.

"Va bene." Mi sfilai gli occhiali: "Alle cinque a casa mia?"

"Non mancherò."

Non appena fummo lontani l'uno dall'altra, mi voltai un secondo per guardarlo allontanarsi. Il nostro manager era stato davvero importante per noi e, davvero, tutta la questione mi aveva davvero dispiaciuta. Apprezzai molto il suo gesto e, nella mia testa, si fece spazio l'idea che, magari, avrebbe potuto capire.

The fault of the moon || CamrenWhere stories live. Discover now