capitolo 6

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Capitolo 6

"Tra lo stato amoroso e l'ipnosi non c'è gran distanza. I punti di rassomiglianza sono evidenti. Nei confronti dell'ipnotizzatore si dimostra la stessa umiltà nella sottomissione, lo stesso abbandono, la stessa mancanza di senso critico che nei confronti della persona amata."
Sigmund Freud

TYLER

Quando uscii dalla doccia mi ritrovai il viso smorto di mia madre davanti. Reggeva il mio asciugamano, sulle braccia portava un paio di quei cerotti alla nicotina che avrebbero dovuto farla smettere di fumare.

- Tieni. Tuo padre ha chiamato dall'aeroporto, sta per tornare. - non c'era gioia nella sua voce, soltanto una rassegnazione pura e spaventosa.

Presi l'asciugamano e me lo avvolsi intorno alla vita. - Senti, so perché non chiederai mai il divorzio ... finiresti a vivere dai nonni, Luis ti farebbe la guerra per sempre e noi passeremmo sotto la sua custodia – un brivido mi percorse il corpo e sapevo di per certo che non era dovuto al freddo – però non puoi rovinarti la vita in questo modo. -

- Non vi lascerò, tesoro. Questa famiglia ne ha già passate parecchie, non importa il resto, ciò che conta siete tu e Rachel per me. - mi lasciai accarezzare dalle sue mani morbide – potresti andare a svegliarla? Se tuo padre dovesse trovarla ancora a letto inizierebbe con le sue paternali che nessuno di noi ha voglia di sentire. Io andrò a preparare la tavola per stasera ... -

Sospirammo entrambi, come due anziani stanchi di vivere. Presi velocemente un jeans scuro e una canottiera pulita e me li infilai. Mi guardai allo specchio incontrando la mia immagine pallida e traslucida, immersa tra le goccioline di vapore che scendevano giù lungo il vetro. Somigliavo a Rachel, ma somigliavo ancora di più a Caleb. Era evidente a tutti lì dentro e, sebbene i miei tratti fossero più duri nessuno sembrava capire quanto fossimo diversi l'uno dall'altro. Mio padre in primis. Il mio sguardo scese lungo la mia spalla destra, dovevo nascondere quel tatuaggio, ma ogni giorno diventava sempre più complicato negare ciò che realmente ero. Corsi in stanza, dovevo farlo per mia madre, per Rachel e per la loro vita perfetta. Non ce l'avrebbero fatta senza quei comfort, loro non erano mai state in grado di vivere senza dover dipendere dal suo denaro. Gettai lontano la mia canottiera sostituendola con una polo scura che copriva perfettamente quella che mio padre avrebbe definito una vergogna se non un affronto vero e proprio. Poi mi diressi verso la stanza di Rachel alla fine del corridoio ed entrai.

Non indossava nient'altro che l'intimo, se ne stava raggomitolata a letto ed i capelli scuri e voluminosi le coprivano il volto. Le tende erano ancora calate sulle finestre, nessun rumore o movimento eccetto un basso lamento interrotto da singhiozzi.

- Rachel! Rachel ... - andai da lei, scuotendola appena – cosa ti prende? Luis sta arrivando. Qualsiasi cosa sia devi rimandarla ... -

Nessuna risposta, non si mosse, anzi serrò ancora di più le mani contro il volto.

- Ma che diavolo ti prende? Rachel ... - mi sedetti su di lei, bloccandola con il corpo mentre con forza la costringevo a scoprire il volto. Stavo iniziando a preoccuparmi seriamente.

- N-no, ti prego ... Ty, per favore ... -

Le bloccai i polsi spingendole le braccia intorno al volto, adesso libero. Rimasi esterrefatto, non potevo crederci. Rachel aveva la guancia sinistra tumefatta in due punti, riuscivo a vederla perfino sotto la luce fioca che penetrava a malapena dalle tende.

- Chi cazzo ti ha ridotto così? - dissi, incalzante, con gli occhi ancora puntati su quello scempio – Rachel, rispondi o finirà male anche per te! -

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